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L’intelligenza artificiale non puo’ battere la stupidita’ naturale

By 1 Febbraio 2015 Marzo 29th, 2018 No Comments

L’intelligenza artificiale non può battere la stupidità naturale (Arthur Bloch)
All’ARREMBAGGIO: lezioni di assalto alle navi per Pirati.Arthur BlochSomme di denaro immense spese nell’acquisto e implementazione di sistemi informatici sempre più potenti e sofisticati. Più volte ho chiesto quale potrebbe essere il ritorno dell’investimento di un cambio di software (di solito tra acquisto del software e costi di programmazione parliamo di cifre con 5 e anche 6 zeri) ma non sono mai riuscito ad avere una risposta chiara o comprensibile.

Non c’è dubbio che un’azienda moderna debba o dovrebbe avere un’intelligenza artificiale (l’accento è sulla parola “intelligenza” che fa la differenza!) ovvero un sistema informatico che produca conoscenza, che aumenti la produttività e che renda semplici e veloci le innumerevoli transazioni che avvengono ogni giorno sia verso l’interno che verso l’esterno dell’organizzazione.

Semplici e veloci, purtroppo, come dice Arthur Bloch “è più facile modificare le esigenze in funzione del programma che viceversa”; i poveri utenti spesso si trovano ad aprire videate e poi videate e poi videate, anche per inserire dati elementari e questo perché chi ha progettato il software l’ha sviluppato sulle esigenze di un utente medio che naturalmente esiste solo nella mente dell’esperto e che non ha un equivalente nel mondo reale. Il programma determina l’operatività e non soddisfa le esigenze di semplicità e velocità. Non parliamo poi, di quando in azienda esistono varie versioni di software che non dialogano tra loro.

L’anno scorso in Canada, all’aeroporto di Toronto, ho avuto un’interessante esperienza con un “check in” automatico che non riuscivo a utilizzare e con una signorina stizzita che mi spiegava che “bastava seguire le istruzioni”. In effetti, mi sono sentito un po’ stupido, poi mi sono rinfrancato quando ho notato che la summenzionata signorina ha dovuto aiutare tutti i passeggeri in arrivo che non riuscivano a utilizzare la troppo intelligente macchinetta. Di queste esperienze racconterò un’altra volta, quando deciderò di scrivere su quelle che penso siano le tre esperienze più brutte, umilianti e deprimenti cui, noi, cittadini del XXI secolo dobbiamo sottostare: la sanità, le compagnie telefoniche e gli aeroporti. Esperienze che come le piaghe d’Egitto, ci devastano ogni qualvolta entriamo in contatto con questi tre settori rimasti al Pleistocene; ma questa è un’altra storia.
Mi riferisco all’interfaccia utente troppe volte trascurata. Sistemi che dovrebbero aiutare l’utente sono in realtà mal progettati, rendendo l’inserimento di dati un vero incubo con buona pace della produttività. Doppie, triple imputazioni, stampe illeggibili, campi da compilare che richiedono competenze di fisica quantistica, nomi e descrizioni tra le più fantasiose e complicate. Il povero utente, superata la fase di rabbia, poi di disperazione, si deve rassegnare e utilizzare uno strumento concepito da qualche persona dalla personalità disturbata. A volte il disturbo si propaga con conseguente spegnimento mentale dell’utente che per sopravvivere non deve farsi troppe domande.

Gioco sul facile quando dico che aziende che non spendono poche migliaia di euro per le loro persone, per dar loro formazione e competenze, spendono cifre enormi per acquistare software mal pensati e spendono ancor di più in giornate di programmazione per tentare poi di ottenerne qualcosa di utile. Oramai l’investimento importante è stato fatto e bisogna pur utilizzarlo, no? Beh, si sa “business is business” … Ho tentato di spiegare a qualche esperto di software che esistono strumenti semplici e potenti per analizzare i processi, migliorarli e quindi eventualmente poi automatizzarli, ma è stata un’esperienza piuttosto inutile, eppure… Eppure chi riuscisse a farlo svilupperebbe sia dei software, che un business dalle incredibili opportunità. Ecco, allora, che sistemi che ci dovrebbero aiutare diventano invece trappole micidiali che assorbono risorse ed energie per potere funzionare.

Conoscenza. Esiste una differenza sottile ma fondamentale tra automazione (rendere automatico ossia senza l’apporto dell’uomo, quindi sistema intelligente) e meccanizzazione (sostituzione del lavoro manuale con una macchina, che rende più veloci alcune operazioni, ma che ha bisogno dell’uomo per funzionare, quindi sistema non pensante), non solo quando pensiamo a macchine in fabbrica, ma anche quando parliamo di “sistemi intelligenti”. Anche in questo caso ci sono le mode, molto costose, ma anche molto volatili.

Sistemi che raccolgono innumerevoli dati alimentano database giganteschi che non vengono poi analizzati, o vengono analizzati al momento della creazione del report. E’ l’illusione del controllo: più dati ho, più ho sotto controllo la situazione. In realtà tutti questi dati non generano poi nessuna azione, sia essa di miglioramento o di cambiamento o di ulteriore esplorazione; servono solo ad alimentare il nostro senso di sicurezza illudendoci di credere che padroneggiamo l’area da cui i dati provengono. Il più volte citato A.Bloch ci avverte: Il vero pericolo non è che i computer comincino a pensare come gli uomini, ma che gli uomini comincino a pensare come computer. E così di database in database e di file in file, anche noi diventiamo un hardware che viene gestito da un software di cui non capiamo più né l’utilità né lo scopo.

Questi sistemi forniscono conoscenza? Penso al proliferare di tutta una serie di file (tipicamente excel o word) gestiti fuori sistema per raccogliere, sintetizzare dati, informazioni. Così come esiste una Costituzione reale che si affianca a quella scritta, così esiste una rete informatica sotterranea, parallela a quella ufficiale, evidente dimostrazione di cattive abitudini ma anche di una serie di necessità non coperte dal sistema ufficiale.

La conoscenza è qualcosa di più complesso che, un insieme di semplici dati e informazioni e richiede l’attivo contributo delle persone che li utilizzano per trarne un significato. Richiede una capacità cognitiva di analisi e di rielaborazione che è un processo attivo.

A livello di azienda un buon sistema informatico dovrebbe essere pensato per soddisfare le esigenze per i prossimi anni, dovrebbe essere davvero “user friendly”, dovrebbe fornire in modo semplice i dati che servono e dovrebbe consentire un aumento della produttività di tanti lavori d’ufficio, di contabilizzazione, di gestione. Dovrebbe inserirsi in modo armonico all’interno dell’organizzazione e dovrebbe essere preceduto da una seria analisi dei processi fatta sia dagli specialisti di software ma anche dagli utenti per disegnare un sistema intelligente e che soprattutto possa evolvere continuamente. Insomma bisognerebbe investire il tempo necessario per definire con precisione e magari sperimentare quello che il nuovo sistema dovrebbe fornire.

Chi progetta software dovrebbe essere più attento alle esigenze dei clienti e impiegare un approccio che sia più vicino al design centrato sulla persona e aumentare le abilità dei propri programmatori con nuove competenze per consentire loro di operare secondo un metodo che sia più moderno e innovativo.

Un sistema, nei suoi elementi strutturali e di base, non può essere più intelligente di chi lo ha progettato e proprio per questo è importante riflettere sull’intelligenza del suo creatore, sui suoi presupposti, il metodo di creazione e il suo approccio all’utente.

Legge dell’inattendibilità: errare è umano, ma per incasinare davvero tutto ci vuole un computer.

Legge di Greer: un programma di computer fa quello che gli dici, non quello che vuoi. (Arthur Bloch)

E tu caro utente, non sperare che se stupidamente concepita, l’intelligenza artificiale possa darti un risultato intelligente: i computer sono inutili. Ti sanno dare solo risposte (Pablo Picasso), inizia quindi facendoti le domande giuste.

Buona settimana

Massimo

 

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