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Perché gli oggetti sono sempre più difficili da utilizzare? Che ruolo ha la tecnologia in tutto questo?

By 28 Maggio 2021 No Comments

Complessità, tecnologia, prodotto e design con Lorenzo Olivetto, Product Design Engineer in SPII S.p.A.
Un mio commento alla fine del ‘post’.
Buona lettura

Chi di noi non ha mai avuto un’incertezza nell’utilizzo di un prodotto appena acquistato? Quanti sbagliano l’approccio iniziale verso una tipologia di prodotto e/o servizio?

Cercherò di fare un po’ il punto della situazione su un tema che sempre più di frequente viene a galla tra la miriade di prodotti presenti sul mercato, sempre più complessi e difficili da utilizzare.

La prima distinzione da fare è quella tra il concetto di complessità e quello di difficoltà. Il termine complessità ha accezione positiva e si riferisce alla caratteristica di un sistema costituito da molteplici parti tra loro interagenti in base alla quale il comportamento globale del sistema non è immediatamente riconducibile a quello dei singoli costituenti dipendendo dal modo in cui essi interagiscono (Treccani).

Il termine difficoltà si in questo caso si riferisce ai potenziali fattori che influenzano negativamente la facilità di utilizzo e/o interazione con un prodotto.

La tecnologia è sicuramente un tema, un filo conduttore che accomuna questi due concetti e che ne è per certi versi causa e conseguenza.

La tecnologia può provocare confusione, ira, rabbia e un’inesauribile fonte di lamentele. Sembra un po’ un paradosso ma la tecnologia odierna deriva principalmente da un punto di vista incentrato sulla macchina, pur essendo progettata e costruita da esseri umani. 

Agli albori della rivoluzione industriale la tecnologia era a malapena in grado di funzionare e le macchine create erano persino pericolose per l’uomo, occorrevano settimane per poter padroneggiare oggetti come il fonografo e ai primi utenti veniva intimato di perseverare nonostante i tentativi iniziali non fossero soddisfacenti.

La gran parte delle tecnologie attraversa un ciclo di sviluppo e di maturazione sia della complessità interna che di quella esterna, spesso il primo apparecchio prodotto è semplice ma primitivo. Successivamente le caratteristiche tecnologiche migliorano e vengono messe a punto modalità operative più semplici ed efficaci, il prodotto diventa di più facile utilizzo anche se a discapito di una maggiore complessità interna.

Un esempio lampante è quello della radio; l’utilizzatore delle prime radio doveva essere a conoscenza dei cinque principi fondamentali della ricezione radio: intercettazione, sintonizzazione, controllo, amplificazione, riproduzione, al pari quasi dell’ingegnere che l’aveva progettata. Gli apparecchi radiofonici attuali sono diventati a prova di bambino, semplici e alla portata di tutti, pochi comandi di facile comprensione. Tutta questa semplicità verso l’utente nasconde quasi sempre un incremento esponenziale di quella interna, una complessità che avrebbe sorpreso sicuramente i primi progettisti di apparecchi a valvole. La maggioranza degli apparecchi moderni ha subito questa evoluzione ed in particolar modo quelli di natura elettronica che sono ai più visti come delle scatole magiche in cui la chiara comprensione concettuale deve essere veicolata dalle competenze sempre più ampie del designer. Per fare in modo di veicolare correttamente il modus operandi corretto all’utente il designer deve sviluppare un modello concettuale che risulti ben visibile, con un giusto apporto di feedback e facendo si che ogni comando aderisca a tale modello. 

Quando gli utenti sanno di detenere il controllo sul dispositivo, sanno quale feedback aspettarsi da taluno comando e sanno come reagire ad eventuali problematiche che potrebbero insorgere durante l’utilizzo, anche il compito più arduo si trasforma in un qualcosa di facile comprensione. In poche parole l’utente può anche non possedere alcuna conoscenza tecnica dell’apparecchio ma deve trovarsi a suo agio con la conoscenza funzionale. Non mi serve capire i meccanismi interni di un’automobile per saperla guidare, come non mi serve saper programmare per poter utilizzare un PC.

Il modello concettuale può essere definito un po’ come il collante necessario a far funzionare molte parti ognuna con la sua “affordance” (affordance – invito all’uso, si definisce la qualità fisica di un oggetto che suggerisce a un essere umano le azioni appropriate per manipolarlo) studiata, con i feedback opportunamente implementati e uno stato operativo ben visibile.  Questi sono gli ingredienti principali necessari a creare un’interazione facile ed efficace.

Un buon designer deve quindi preoccuparsi di fornire un modello concettuale esplicito che rispetti una consequenzialità logica degli eventi e che gli permetta di potere integrare anche l’aspetto estetico coerentemente con il contesto di riferimento. L’obiettivo ultimo rimane sempre quello di poter prendere in mano un apparecchio e di poterlo usare al primo colpo, un obiettivo molto ambizioso ma che deve essere un po’ il mantra per poter spostare la progettazione sempre più verso uno sviluppo centrato sugli esseri umani in cui la tecnologia si rivela realmente al servizio dell’utente.

Alla domanda iniziale possiamo rispondere dicendo che la tecnologia agli albori poteva essere certamente una causa di frustrazione e di scarsa accettazione del progresso, una tecnologia difficile da dominare sia dal lato progettuale che dal lato dell’utilizzatore finale. Ingegneri hanno col tempo e con molte perdite umane affinato le conoscenze e il know-how scientifico portando ad un’evoluzione consolidata di conoscenze tecniche e progettuali tali per cui la difficoltà vera non è più realizzare funzioni ma saperle gestire in maniera logica e facilmente assimilabile dall’utente finale. La tecnologia quindi passa da essere la principale causa scatenante di insoddisfazione, stress ed ira ad essere lo strumento principale per poter far fronte all’entropia e alla complessità di prodotti sempre più ricchi e carichi di funzioni. 

Viene dunque indispensabile la necessità di una figura che sappia fare da ponte tra la tecnica della macchina e le emozioni dell’essere umano, una figura che sappia navigare tra discipline tecniche e discipline umanistiche e che sappia veicolare la tecnologia nella giusta direzione spogliandola dall’aurea di incomprensione e magia. La missione del designer diventa quella di prestare il proprio sapere, derivato dalla conoscenza di diverse branche del sapere, per cercare di piegare la tecnologia verso i sensi e la logica dell’essere umano, cercando di introdurre simboli e significanti i più familiari possibili all’utente e al contesto di destinazione. “Sopravvivere alla complessità” deve diventare un “Convivere con la complessità”, il focus progettuale su questo tema deve essere mandatorio non solo per creare prodotti più semplici e performanti ma per fare in modo che siano realmente sfruttati dal target umano di riferimento.

Buona settimana
Lorenzo

Come diceva Arthur C. Clarke “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”
E noi amiamo la ‘magia’. 
Magia intesa come l’esercitare il controllo su forze oscure (principi fisici, tecnologia), come capacità di attrarre, di incantare e come fatto imprevedibile, inatteso. 
Un prodotto mito come l’iPhone era ‘magico’ in tutti i sensi sopra descritti. 
Il prodotto di Apple – sarebbe riduttivo definirlo un ‘telefono’ – fu un’innovazione che ha cambiato il modo di concepire i prodotti. Steve Jobs ha scoperto il ruolo fondamentale dell’interazione utente (user experience) e di come un prodotto, pur estremamente complesso come l’iPhone, potesse generare un’esperienza semplice, intuitiva, divertente, utile, insomma una ‘magia’.
Steve Jobs esordi così al momento della presentazione dell’iPad: “Vogliamo far partire il 2010 come si deve, annunciando un prodotto veramente magico e rivoluzionario.”

“Se siamo in grado di creare prodotti come questo è perché la Apple abita all’incrocio fra la tecnologia e le liberal arts: prodotti avanzati, intuitivi, facili e divertenti da usare”. Al termine della presentazione di due giorni fa, Steve Jobs – genio indiscusso del marketing – ha assunto un tono didattico. Le arti liberali (grammatica, dialettica, retorica, aritmetica, geometria, musica e astronomia) hanno certamente a che fare con l’innovazione, il design e l’anima stessa di un prodotto commerciale come l’iPad che Jobs teneva in mano. Ma anche con una cosa ben più importante: la visione di lungo periodo (ilsole24ore – Arte e tecnologia è il nuovo slogan di Steve Jobs)

Purtroppo molti prodotti mancano di quel tocco ‘diverso’ che li rende magici: a volte sono concepiti male, altre volte non innovano nulla, altre ancora complicano inutilmente le cose.
Se vogliamo produrre vera innovazione, allora, dobbiamo ritrovare ‘magia e rivoluzione’ e una ‘visione di lungo periodo’. 
Invece di entrare in uno studio di progettazione triste e asettico avremmo bisogno di concepire prodotti in un castello di Hogwarts con apprendisti maghi… o molto più semplicemente di un modo di pensare tipico del design. 

Design è una parola buffa. Alcuni pensano che corrisponda all’aspetto di qualcosa. Ovviamente però se scavi più a fondo, in realtà equivale a come funziona. (Steve Jobs)

Innovazione… devi soltanto immaginare cosa viene dopo.

Buona settimana
Design a better world.
Massimo

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