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Da domani smettero’ di rimandare le cose!

By 15 Maggio 2016 Marzo 29th, 2018 No Comments

Da domani smetterò di rimandare le cose!20709734_lEsistono soluzioni per le quali non abbiamo ancora trovato una denominazione appropriata, e che si potrebbero forse chiamare ipersoluzioni. Il termine definisce un modo di affrontare i problemi che, pur essendo fondato sulle migliori intenzioni, finisce sempre con l’avere effetti controproducenti, più o meno nel significato espresso dal famoso bon mot dei medici: operazione perfettamente riuscita, paziente deceduto.

(Paul Watzlawick – Di bene in peggio)

Un caro amico imprenditore, qualche giorno fa, tentava di convincermi che lui e la sua azienda “non erano ancora pronti” per intraprendere delle attività volte a migliorare processi, produttività, ecc.
Le ragioni di solito addotte per non migliorare le performance aziendali e posticipare eventuali cambiamenti, sono, di solito, sempre uguali: non abbiamo persone, non abbiamo soldi, non abbiamo tempo, o varianti delle stesse.
Del resto se avessimo le persone, i soldi e il tempo, che ragione avremmo per fare qualcosa?
Queste motivazioni (che ho sentito ripetere un’infinità di volte) sono uno dei tanti modi con le quali si manifesta la resistenza al cambiamento.

Il vostro oroscopo nel giornale di oggi vi mette in guardia (e con voi altri 300 milioni di individui nati sotto lo stesso segno) circa un possibile incidente. Effettivamente poi vi capita qualcosa. L’astrologia è quindi credibile.
Oppure no? Siete sicuri che l’incidente vi sarebbe capitato lo stesso anche se non aveste letto l’oroscopo? O anche se foste convinti veramente che l’astrologia è una spudorata assurdità? A posteriori, ovviamente, non potete saperlo.
(…) Qui avremmo dunque a che fare con un ulteriore effetto del tentativo di scansare un pericolo, cioè con la sua capacità di provocare, in determinate circostanze, proprio ciò che si cerca di evitare. Di quali circostanze si tratta? In primo luogo, deve esserci una predizione, nel senso più ampio del termine, dunque una qualsiasi aspettativa, preoccupazione, convinzione o semplicemente un sospetto, che le cose andranno così e non altrimenti. Bisogna aggiungere che tale aspettativa può essere provocata o dall’esterno, magari da altre persone, oppure da qualche convinzione interiore. In secondo luogo, l’aspettativa deve essere vissuta non come semplice attesa, bensì come una realtà incombente, per evitare la quale devono essere prese immediate contromisure. In terzo luogo, la supposizione è tanto più convincente, quante più persone la condividono, oppure quante di meno sono le supposizioni, già comprovate dal corso delle cose, a cui essa contraddice.
(Paul Watzlawick – Istruzioni per rendersi infelici)

Si chiamano profezie che si realizzano da sé.
Così, non fermandosi mai a risolvere i problemi e le inefficienze che assorbono tempo e denaro, si finisce proprio con il realizzare quanto si è predetto, cioè “non essere pronti” perché … mancano tempo e risorse (uomini e denaro).
Il cerchio si chiude in una soluzione che perpetua il problema. Nella convinzione però di essere nel giusto e con il commento finale: “hai visto che avevo ragione?”

E’ tipico dell’essere umano credere nelle ipersoluzioni o nelle profezie che si autoavverano, in qualche misura ne siamo tutti colpiti, chi più chi meno. Quando però il problema diventa cronico, finisce nel patologico; ed è una patologia che colpisce molte organizzazioni, molti imprenditori e molti manager.
L’intelligenza è quell’insieme di facoltà psichiche e mentali che consentono all’uomo di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e lo rendono insieme capace di adattarsi a situazioni nuove e di modificare la situazione stessa quando questa presenta ostacoli all’adattamento; persistere, quindi, con soluzioni già provate e che hanno dimostrato di non funzionare, non è particolarmente brillante, è stupido.

Gli esseri umani non hanno tutti lo stesso livello di intelligenza. Ve ne sono alcuni che mostrano maggiori capacità di comprensione del mondo esterno, di previsione degli stati futuri e di esecuzione dei programmi che coinvolgono loro e gli altri. Prevediamo così tre livelli di stupidità, speculari ai livelli di intelligenza appena descritti. Una prima approssimativa classificazione delle manifestazioni di stupidità è la seguente:
Livello 2 : non capire gli altri.
Livello 1: non capire se stessi.
Livello 0: non capire il mondo.
Il livello 2 corrisponde all’appiattimento dei modelli delle menti altrui sulla propria. Lo incontriamo sotto forma di egocentrismo, incapacità di decentramento, mancanza di abilità sociali e al limite, come cieca testardaggine e chiusura nei confronti degli altri.
(…) Noi preferiamo cambiare la realtà esterna per non soffrire troppo. In questi casi le emozioni intervengono non come guide per l’azione ma per cancellare aspetti della realtà. Sono forme di autoinganno che, per funzionare, non devono essere riconosciute come tali.
Preferiamo insomma, a nostra insaputa, la stupidità all’infelicità.
(Paolo Lagrenzi – La mente)

Il bestiario aziendale è, così, pieno di ipersoluzioni e profezie che si autoavverano, esempi reali di “stupidità” che il prof. Lagrenzi, psicologo, definisce così: la stupidità consiste nel non mettere in dubbio le proprie convinzioni, basate spesso su esperienze limitate, nel credere così di avere ragione e nell’evitare, di conseguenza, di sottoporre ad un vaglio critico le convinzioni stesse. Si continua così a prendere per buone ipotesi sbagliate sul mondo e sugli altri. (Paolo Lagrenzi – opera citata)

Provo a elencare qualche esempio:

  • “è colpa di Tizio”: invece di mettere in discussione il sistema o il processo che ha obbligato Tizio a operare in quel modo. Quando si verifica un problema, invece di capire “cos’è successo e perché”, la prima domanda (sbagliata) è “chi è stato” (ricerca del colpevole);
  • l’utente del servizio trattato come un pollo da spennare: a fronte di spot pubblicitari di persone gentili, sorridenti e cordiali, le società telefoniche devastano di telefonate i potenziali clienti, arrivando anche, per la stessa azienda, a chiamarti più volte nella stessa giornata (non sanno che le informazioni dovrebbero essere condivise? Signori della telefonia se ci chiamate possiamo aiutarvi a risolvere un evidente problema di processo e di comunicazione –sig!- interna);
  • dipendenti mandati a corsi sulla leadership che poi rientrano in azienda e devono sottostare alle rigidi e inflessibili regole interne senza poter nemmeno provare ad applicare quello che hanno imparato;
  • difetti nei processi produttivi che generano controlli di qualità addizionali che deresponsabilizzano ulteriormente i dipendenti che generano così ulteriori scarti che richiedono ulteriori controlli … una girandola infernale;
  • team-building, ovvero come non risolvere i problemi interni. Nulla da dire con le attività di costruzione del team, ma se non si sistemano i processi, la comunicazione e la gestione delle persone, l’effetto dell’attività di team-building (anche se magari ricordata con piacere) si scioglie come neve al sole sotto la ferrea legge della quotidianità e dei processi difettosi. Sarebbe come prendere una squadra di calcio che ha un attacco debole e mandarla a fare un’attività di team-building, magari a cucinare in un ristorante. Diventeranno anche tutti amici e (forse) bravi cuochi, ma qual è l’azione concreta e pratica che risolve il problema tecnico dell’attacco debole?

Potrei continuare a lungo…

Il cambiamento necessario è abbandonare le “ipersoluzioni” che mantengono il problema.
Possiamo definire le ipersoluzioni in un modo meno nobile e chiamarle … scuse, e le scuse sono incompatibili con l’eccellenza.

Dissi al mio caro amico che in realtà non ci sarà mai un momento giusto.
Ci sarà sempre qualche altra cosa che lo porterà a procrastinare (differire, rinviare da un giorno a un altro, dall’oggi al domani, allo scopo di guadagnare tempo o addirittura con l’intenzione di non fare quello che si dovrebbe).
La soluzione è decidere finalmente di affrontare i problemi e cambiare approccio.

In realtà la vera difficoltà è accettare e vivere da protagonista, il cambiamento; egli dovrà superare il blocco che, prima di tutto è mentale, perché, sì succede anche ai piani superiori (la stanza dei bottoni): più in alto si è nell’organizzazione, più è difficile cambiare.

In un’epoca di maghi, magie e facili ricette, di Harry Potter dell’ultima ora, delle soluzioni miracolose, sostengo le ragioni dell’impegno serio, della costanza, della disciplina e del METODO.
Abbiamo, infatti, a nostra disposizione uno strumento potentissimo: il metodo scientifico.
La scienza come metodo di indagine. Il metodo si basa sul principio che l’osservazione è il giudice ultimo di come stanno le cose. Quando si capisce che solo l’osservazione può dimostrare la verità di un’ipotesi, ogni altro aspetto e caratteristica della scienza diventa immediatamente comprensibile. In questo contesto “dimostrare” significa “verificare”, o “controllare”, e il famoso detto “L’eccezione dimostra la regola” dovrebbe essere cambiato in “L’eccezione verifica la regola”, o meglio “L’eccezione dimostra che la regola è sbagliata”. Questo è il principio scientifico. Se c’è un’eccezione, e si può osservare direttamente, allora la regola è sbagliata.
(…) Il principio che l’osservazione è l’unico giudice impone vincoli ben precisi al tipo di domande a cui si può cercare di dare risposta. Bisogna limitarsi a questioni del tipo “Se faccio questo, cosa succede?”, dov’è c’è modo di provare e verificare. Domande come “Dovrei fare questa cosa?” o “Qual è il valore di…?” sono di altra natura.
(Richard P. Feynman – Il senso delle cose)

Non c’è solo la parte razionale e scientifica però, ci sono anche alcune domande che sono fondamentali:
In ogni decisione che riguarda l’azione, quando bisogna decidere il da farsi, c’è sempre di mezzo un “dovrei?” che non si può risolvere solo rispondendo a: “Se faccio questo, cosa succede?” (Richard P.Feynman – opera citata)
E nella risposta a quel “dovrei” convergono sensibilità, giustizia e i valori nei quali crediamo. Quella risposta mostra l’obiettivo che vogliamo raggiungere e la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Nella risposta a quella domanda c’è tutta la forza e la convinzione che segneranno l’inizio di un vero cambiamento.

Non abbiamo né risorse, né soldi, né tempo, ed è proprio per questo che dobbiamo darci da fare.
Subito!

“Ben fatto” è meglio di “ben detto”.
(Benjamin Franklin)

Buona settimana
Massimo

 

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