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Imprenditori “illuminati”: quando l’apertura vince sulla chiusura.

By 26 Novembre 2017 Maggio 2nd, 2018 No Comments

Imprenditori “illuminati”: quando l’apertura vince sulla chiusura.423916_xl


Il futuro appartiene alle persone che sprigionano le idee
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Seth Godin

Fare impresa ed essere imprenditori oggi in Italia è davvero molto difficile.
Soprattutto se lo vuoi fare bene.

Esistono ancora imprenditori “illuminati”, cioè persone che cercano di approcciare i problemi e le sfide in modo nuovo e originale.
L’imprenditore “illuminato” si contrappone così all’imprenditore “provinciale”, di mentalità più chiusa e ristretta a un mondo che non esiste più, o meglio che esiste solo nella sua mente.
Provinciale è colui che pensa in termini di un ambiente ristretto e marginale, al quale attribuisce un significato universale (Ryszard Kapuscinski).

Ho avuto la fortuna di incontrarne diversi, di entrambe le categorie e mi piace provare a riflettere sulle tante cose in comune che hanno gli “illuminati” rispetto ai “provinciali”.

Proprio recentemente mi è capitato di parlare con un paio di questi signori dalla mentalità aperta, che hanno costruito aziende che in pochi anni sono passate da una dimensione artigianale a una industriale di medie dimensioni.

All’acume per il business, il mercato e i prodotti, queste persone straordinarie uniscono una non comune passione per il lavoro che svolgono con impegno, tanta fatica, lunghe ore in azienda e tanta, tanta passione.
Emerge la loro consapevolezza di quanto il successo ottenuto sia il frutto certamente della loro abilità e determinazione ma anche del lavoro svolto dai collaboratori verso i quali hanno un affetto e un senso di responsabilità davvero profondi.
Sono persone di età diverse e si distinguono per l’impegno attivo che hanno profuso nell’azienda.
In alcuni casi hanno ereditato l’azienda di famiglia, in altri sono partiti dal nulla con tanta voglia di fare, ma, in entrambi i casi, hanno sempre cercato di trovare una strada che facesse crescere l’azienda.
Qualcuno potrebbe pensare che siano tutti tratti caratteristici di qualunque imprenditore. Certamente sì, ma anche con qualche importante differenza.

Questi signori sono di mentalità aperta, sono curiosi, hanno voglia di imparare, vogliono provare approcci nuovi e non credono solo nella tecnologia come soluzione strategica di tutti i problemi di tipo organizzativo o di business.

Non sono arroganti, ma essendo molto intelligenti, dimostrano un atteggiamento di ascolto attento, hanno una conoscenza del loro mercato diretta, vissuta in modo personale, conoscono bene tutte le difficoltà che devono affrontare e s’ingegnano per trovare soluzioni originali.
Non tutto quello che fanno è perfetto e lo riconoscono con quella lucidità tipica di chi ha un approccio diretto e franco alle cose, con quel pragmatismo che caratterizza il “fare” rispetto al “teorizzare”.

Non sono persone facili, hanno però un senso morale molto pronunciato e non sono disposti a tutto per il business o per il risultato.

Sono quelli che, durante la crisi scoppiata nel 2008 hanno fatto quadrato, cercando in tutti i modi di salvare l’azienda e i posti di lavoro e al contrario di certi manager, non hanno scaricato le difficoltà sulla parte più debole delle loro organizzazioni con licenziamenti, ristrutturazioni o mobilità, consapevoli che agli anni grassi (leggi, di buoni profitti) possono seguire anche anni “magri” e che, come in qualsiasi famiglia che si rispetti, certi valori vanno salvaguardati.
Operano con lo spirito del “buon padre di famiglia”, non licenziando i figli perché sono in un momento di ristrettezze.
Fuor di metafora hanno cercato di difendere le proprie aziende prima di tutto con un grande sforzo personale.

Sono di mentalità aperta provando nuovi approcci rimettendosi in discussione, pronti, loro primi tra tutti, a cambiare.
Questi valori e questo impegno sono ben compresi da chi lavora per loro e costituiscono un elemento forte di aggregazione e di fiducia.
Sono disposti a impegnarsi per far crescere le proprie persone e al contrario dei “provinciali”, investono nella formazione e crescita della struttura.

Sono di mentalità aperta e si può discutere con trasparenza trattando dei veri problemi, dimenticando le tante “trappole politiche” che imprigionano certe organizzazioni.
Sono anche disposti ad ascoltare eventuali osservazioni critiche, separando i fatti dagli aspetti personali, consapevoli che solo con un dialogo aperto e franco si possono rimuovere certi ostacoli affrontando anche i “non detti”.

Questi imprenditori sono la miglior rappresentazione di un’apertura che si contrappone alla chiusura tipica, purtroppo, di alcune imprese.
Paura del nuovo, incapacità di cambiare idee inadeguate, innamoramenti fugaci seguite da un brusco risveglio nelle difficoltà non risolte, ancoraggio a una visione antica e superata dell’organizzazione stile fordista, caratterizzano invece alcuni imprenditori che, per operare, non riescono a fare altro che gestire tutto da soli, oppure costruiscono un gruppo di “yes man” che diventa così autoreferenziale e soprattutto non si aprono al nuovo o credono di farlo comprando l’ultimo gadget tecnologico.

L’imprenditore costruisce e amministra la propria impresa partendo da una serie di assunzioni circa il business, il funzionamento dell’organizzazione e le persone che ci lavorano (modelli mentali), queste premesse possono essere valide e adeguate, oppure no.

I modelli mentali sono il fondamento psicologico della comprensione: “Se si capisce che cosa è l’inflazione, come si svolge una certa dimostrazione matematica, il modo in cui il computer lavora, il DNA o il divorzio, allora si deve avere una rappresentazione mentale delle entità considerate”, ossia “una copia mentale interna che possiede la stessa struttura di rapporti del fenomeno che rappresenta”.
 
Quindi le persone costruiscono modelli mentali che possono rappresentare il mondo fisico, i concetti astratti o le sequenze di eventi e questi modelli servono loro per spiegarsi gli eventi, per comprendere le esperienze e per fronteggiare le situazioni nuove. Perché un modello mentale sia funzionale, tuttavia, non è necessario che la spiegazione che fornisce del fenomeno in questione sia esaustiva, né che il modello corrisponda esattamente a ciò che rappresenta. Ogni modello risulta essere più semplice della realtà e proprio in questa caratteristica risiede la sua funzionalità.
 
Spesso, però, i modelli mentali sono costruiti sulla base di dati non completi e questo fatto può determinarne il fallimento. Se abbiamo un modello mentale sbagliato del funzionamento di un oggetto probabilmente commetteremo errori nell’utilizzarlo. “La potenza dei modelli mentali è che permettono di indovinare cosa può succedere in situazioni nuove e insolite. […] se il modello è sbagliato, sbagli anche tu.
(I modelli mentali. Sarah Menini – Hyperlabs.it)

Così seguire un modello sbagliato, incompleto o inadeguato può condurre al fallimento.
Il problema diventa allora come aggiornare il proprio modello mentale e la soluzione non può che venire dall’apertura al nuovo e al rimettere in discussione convinzioni e idee preconcette, cosa che l’imprenditore “illuminato” riesce e vuole fare.

Quando diciamo che una persona è “demotivata”, con questo termine indichiamo di volta in volta due fenomeni molto diversi tra di loro, ognuno dei quali ci rivela un diverso aspetto della resilienza (la resilienza è la capacità di persistere, di far durare la motivazione nonostante gli ostacoli e le difficoltà).
Vediamo il primo caso di “demotivazione”. E’ la situazione di qualcuno che non si impegna per ottenere un obiettivo, non perché non vi aspiri, ma perché ritiene di non poterlo raggiungere. La frase tipica che riassume la situazione è: “Tanto non ce la farò mai, quindi meglio lasciar perdere!” Per esempio potrebbe attirarmi molto l’idea di scalare una certa montagna; ma poiché (a torto o a ragione) penso di non averne le capacità, non mi impegno minimamente per realizzare il mio desiderio. In questo primo caso di “demotivazione” la persona rinuncia e non si impegna a causa di un basso senso di autoefficacia. Uso l’espressione “senso di autoefficacia” come equivalente a senso di competenza: sentirsi autoefficace significa sentirsi adeguato o capace di raggiungere un dato obiettivo.
 
(…) Tuttavia il nostro linguaggio utilizza il termine “demotivazione” anche per indicare una situazione completamente diversa. Continuando l’esempio precedente, possiamo avere una persona fortemente attratta dalla prospettiva di scalare una determinata montagna; e che ha un ottimo senso di autoefficacia, per cui è certa di poter ottenere l’obiettivo pre-fissato. Ma che alla fine sulla montagna non ci sale, perché non ha voglia di affrontare la fatica necessaria, non ha voglia di fare sacrifici e di soffrire.
In questo caso parliamo di “demotivazione” da bassa capacità volizionale, cioè da scarsa volontà. Se la frase tipica della prima situazione era: “Tanto non ce la farò mai, quindi meglio lasciar perdere!”, quella della seconda è: “Ma chi me lo fa fare?” Oppure: “Non ne vale la pena!” O ancora: “Troppo sbattimento!”
(Pietro Trabucchi – Perseverare è umano)

Può un imprenditore essere “demotivato”?
Penso proprio di sì, almeno nel senso indicato più sopra: o perché non sa come fare (basso senso di autoefficacia), o perché non ne vede la necessità (bassa capacità volizionale).
Vi è anche un terzo caso: non vede nemmeno il problema (cecità, modello mentale inadeguato).

In questi tre ambiti: autoefficacia, volontà, riconoscimento del problema, sta la differenza tra l’imprenditore “illuminato” e quello “provinciale”, tra quello motivato e quello demotivato.
Non è allora un caso che John F. Kennedy abbia detto: la leadership e l’apprendimento sono indispensabili l’una per l’altro, forse pensava proprio all’aggiornamento dei modelli mentali indispensabile per mantenersi leader efficaci.

Svolgiamo, a latere delle nostre attività in azienda, dei training che mi piace definire innovativi sia per i contenuti, sia per le modalità, ma c’è una cosa che mi sorprende sempre, la bassa partecipazione degli imprenditori (“illuminati” esclusi ovviamente!)…
Forse perché ritengono di sapere tutto?

Gli analfabeti del futuro non saranno quelli che non sanno leggere o scrivere, ma quelli che non sanno imparare, disimparare, e imparare di nuovo (Alvin Toffler).

A quegli imprenditori che invece vogliono imparare, disimparare e imparare di nuovo va tutta la stima, il riconoscimento e l’apprezzamento per la creatività, l’umiltà, il coraggio e la passione che così bene esprimono.
Loro sarà il futuro e il successo!
Per gli altri … beh, cosa contate di fare al proposito?

Design a better world …
Buona settimana
Massimo

 

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