BLOGBLOGBLOG

L’arte di fare le cose.

By 3 Aprile 2016 Marzo 29th, 2018 No Comments

L’arte di fare le cose.Blog 1316 Il maestro è l’ago e l’allievo il filo. Tu devi praticare senza tregua.
(Miyamoto Musashi)

Il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma l’anziano conosce la strada.
(Proverbio africano)

In un articolo sul sito Worldcruch, fonte originale Le Monde, intitolato: Takumi, le armi segrete di Toyota per allenare i robot, si legge:
In una zona isolata di 520.000 metri quadrati dello stabilimento Toyota di Takaoka nel Giappone centrale – dove 25 milioni di veicoli sono stati prodotti da quando ha aperto nel 1966 – Hisao Harada sta usando la pistola a spruzzo per verniciare la griglia del radiatore di una iQ, una piccola city car. Il suo movimento è veloce, fluido, preciso.
Harada ha lavorato qui per 27 anni ed è un Toyota Takumi, uno dei 400 – 500 esperti interni della società che padroneggiano alla perfezione una singola tecnica e le cui missioni sono molto specifiche. Una donna, per esempio, è specializzata nella saldatura dei circuiti elettronici.
“Possiamo inviarli in tutto il mondo per addestrare gli altri, migliorare, risolvere i problemi“, spiega Toshitami Nagase, vice capo di Takaoka reparto di verniciatura, dove l’azienda giapponese prova nuove tecniche.
I Takumi e la loro estrema specializzazione sono essenziali per il successo di Toyota, che è diventato il produttore di auto più grande del mondo tre anni fa. Tra gennaio e giugno 2014, la società ha venduto 5,1 milioni di veicoli a livello globale. Le vendite sono aumentate del 2% nel secondo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a 62 miliardi di dollari.
(…)”La maggior parte dei Takumi si stanno avvicinando all’età della pensione,” dice l’alto dirigente tecnico Mitsuru Kawai. “Ci siamo resi conto di quanto fosse importante trasmettere le loro conoscenze.”
(…)”Non credo che i robot possano fare un lavoro di qualità meglio degli esseri umani”, spiega Shinichi Kato, che è responsabile del reparto verniciatura nella fabbrica di Takaoka. “Certo, un robot può ripetere un compito a un alto livello. Ma qualcuno deve insegnargli come si fa.” E solo chi è un esperto nel suo campo può farlo.
(…) Sulla linea di verniciatura, passa un flusso interminabile di auto, e i robot le verniciano. A volte, un essere umano – un operaio deve essere in grado di sostituire una macchina che si è fermata – riprende. Ciò è quando la somiglianza dei movimenti è impressionante. I robot a Takaoka non si muovono a scatti, ma invece sono una copia perfetta dei movimenti fluidi degli operatori. “Miglioramento dopo miglioramento, siamo riusciti a ottimizzare le procedure dei robot e la quantità di vernice che usiamo”, dice Kato. Gli esseri umani quindi controllano il lavoro a vista.
Tutto ciò permette a Toyota di ridurre il numero di addetti incaricati di svolgere il lavoro, e come risultato, di abbassare i costi di produzione. Grazie al miglioramento dei robot, la casa automobilistica ha ridotto il numero di lavoratori su una linea di verniciatura da 16 a solo sei. “Ma noi non riduciamo il numero di dipendenti“, dice Mitsuru Kawai. “Quelli liberati sono impiegati altrove.”
(…)Messi insieme, questi sforzi hanno portato a risultati spettacolari. Dal 2008, Toyota ha ridotto i costi di 14,4 miliardi di dollari.
(Worldcrunch, Le Monde-Takumi, Toyota’s Secrect Weapons to Train the Robots, 1/10/2014)

Che differenza spettacolare da quello che si vede in molte aziende nostrane, dove l’operatore o l’impiegato con un’alta anzianità aziendale sono visti come demotivati, costosi e incapaci di migliorare; quindi qualcuno di cui liberarsi il più velocemente possibile per sostituirlo, magari, con un lavoratore giovane, con contratto temporaneo e dal costo il più basso possibile.

Nel corso dei secoli I giapponesi hanno sviluppato una capacità organizzativa che forse non ha eguali nel mondo. La spiegazione risiede nel rispetto dei ruoli e delle regole, ma non basta: I giapponesi sono anche precisi, puntuali, responsabili. E’ questo il motivo per cui in Giappone è facile organizzare e pianificare ogni cosa in modo perfetto e minuzioso.
“Sul lavoro i giapponesi parlano molto tra di loro, si scambiano le idee” spiega Furusawa. “Discutono magari animatamente, ma è raro che litighino sul serio. Sono quieti, onesti, ben disposti a muoversi insieme e quindi sono facili da gestire: da noi se il capo è buono, e la sua formazione è ben strutturata, allora è quasi certo che tutti seguiranno le sue direttive. Ma va considerato che se i giapponesi sono tranquilli, sanno essere anche potenti. E’ il nostro grande vantaggio. Il giapponese, se vuole o deve fare qualcosa, si impegna sempre molto per riuscire a farla bene. Ecco perché riusciamo a seguire il kaizen e il Sistema delle 5S, così come siamo molto forti nel campo della manifattura di alta qualità: grazie al monozukuri.
L’arte di fare le cose – il Monozukuri, appunto – sta alla base dell’eccellenza nipponica nella manifattura ed è uno dei motivi d’orgoglio dell’industria nipponica nonché uno dei campi in cui non ha probabilmente rivali nel mondo. Monozukuri non significa solo costruire con estrema cura e attenzione, ma indica principalmente una condizione mentale: è lo spirito che permette di realizzare prodotti eccellenti e l’abilità di migliorare costantemente il processo produttivo.
La parola è composta da due termini – mono (che significa “cosa”, quindi prodotto) e zukuri (che indica “il processo del fare, del creare”) – che messi insieme identificano concetti come l’eccellenza, l’abilità, lo spirito, l’entusiasmo e l’orgoglio del fare le cose nel miglior modo possibile. In quest’ottica realizzare un prodotto non significa ripetere meccanicamente alcuni movimenti prestabiliti, ma mettere in pratica tutta l’abilità che si guadagna attraverso un lungo e paziente apprendistato.
Oltre all’abilità manuale è necessario pensare a quello che si sta facendo, cercando di eliminare ogni possibile errore e, al contempo, di trovare soluzioni a eventuali problemi oppure ostacoli che possono insorgere nei processi di realizzazione.
(Enrico Borghi – Il capolavoro)
Masao Furosawa è stato l’ingegnere della Yamaha che ha lavorato con Valentino Rossi, insieme hanno vinto molto e cambiato la storia del MotoGP.

Nel 2015 le nascite sono state 488mila (8 per mille residenti), quindicimila in meno rispetto al 2014. Si tocca così un nuovo record di minimo storico dall’Unità d’Italia, dopo quello del 2014 (503mila). I dati sono dell’Istat, nel Report sugli indicatori demografici. E non arretra il processo di invecchiamento, assoluto e relativo. Gli ultra 65enni sono 13,4 milioni, il 22% del totale, e risultano in diminuzione sia la popolazione in età attiva (15-64 anni) sia quella fino a 14 anni di età. La prima scende a 39 milioni, il 64,3% del totale, la seconda comprende 8,3 milioni di ragazzi e rappresenta il 13,7%. (ilsole24 ore – Istat: ultra 65enni al 22% della popolazione, nuovi nati al minimo storico. 19/2/16)

L’invecchiamento della popolazione, l’allungamento della vita attiva professionale, sono due trend che caratterizzeranno i prossimi anni e sono fenomeni che le aziende devono e dovranno affrontare. Essi porteranno a ripensare profondamente tutta una serie di logiche oramai superate dalla realtà dei fatti; ma, ancora, purtroppo, utilizzate, anche se obsolete.
Molte organizzazioni, risultato anche dell’incapacità di gestire il fenomeno con nuovi strumenti e nuove idee, si troveranno così con una forza lavoro stanca e demotivata, ben lontana dai principi del monozukuri riportati più sopra.
I due trend avranno conseguenze anche sulle modalità con cui, i singoli lavoratori, dipendenti, manager e professionisti, mantengono e aggiornano (o dovrebbero aggiornare) le loro competenze, capacità e abilità. Questo in un contesto nel quale, aziende con fatturati dell’ordine di diverse centinaia di milioni di euro, non hanno “budget” per la formazione o vi dedicano briciole spendendo cifre incommensurabilmente superiori per acquistare macchine e impianti o software che nessuno saprà più utilizzare con successo.
Una popolazione aziendale che diventerà sempre più in età, dovrà portare le aziende a rivedere miopi politiche di “sviluppo del personale e dei talenti” (tanto per usare una parola abusata) ed evitare così l’invecchiamento (ovviamente non anagrafico) della propria forza lavoro. I fenomeni della globalizzazione, dell’incredibile ed esponenziale aumento della presenza di tutta una serie di nuove tecnologie, toccheranno tutti i livelli aziendali, inclusi quelli dell’alta direzione che dovranno acquisire tutta una serie di competenze e mindset per gestire situazioni nuove rispetto alle quali molte organizzazioni sono mal attrezzate.
A parte queste considerazioni, resta che esiste in azienda un patrimonio di conoscenze e potenziali miglioramenti, inespressi e non stimolati, con contesti che invece di favorire il coinvolgimento e la partecipazione, portano alla chiusura, alla difesa e alla rassegnazione.

Dipendenti, operai, impiegati e manager, sarebbero ben felici di dare un contributo diverso e più attivo alla propria organizzazione ma non gli è permesso farlo.
Ho visto in alcune realtà, la passione e la cura con cui vengono effettuate certe lavorazioni da persone che amano quello che fanno, perché si identificano con l’azienda e con il prodotto che è espressione delle loro capacità e della loro intelligenza e che ben incarnano lo spirito del monozukuri.
Takumi in giapponese vuol dire “artigiano” e anche “abilità, capacità”; noi, in Italia, abbiamo avuto nella storia (si pensi alle botteghe artigiane rinascimentali che hanno prodotto sommi artisti) ma anche oggi, artigiani che sono ben rappresentativi dell’idea di eccellenza nella manifattura e nel design del prodotto. Alcuni di questi “artigiani” si trovano anche nelle aziende e sono un patrimonio da curare e sviluppare con passione e intelligenza.

Quando, nel 1853, il Commodoro Perry guidò le navi della marina statunitense verso la baia di Tokyo, per chiedere l’apertura del Giappone al mondo esterno il capo delegazione mostrò a un gruppo di giapponesi un treno in miniatura. Il militare addetto alla realizzazione del diario di bordo di questa importantissima missione scrisse parole che inducono ancora oggi a riflettere.
Il primo giorno lo trascorsero ad ammirare la meravigliosa invenzione portata dall’occidente; nel secondo studiarono il suo funzionamento; nel terzo suggerirono alcuni miglioramenti.”
(Enrico Borghi –opera citata)

Monozukuri va hito zukuri, “prima di fare le cose, dobbiamo fare le persone!”
O come si legge nello stabilimento di Toyota in Giappone: Good Thinking, Good Product!

Molto spesso dipendenti dalla lunga anzianità aziendale, vere e proprie librerie di sapere e know how, sono demotivati, stanchi e non hanno mai imparato a migliorare il proprio lavoro perché l’ambiente non lo consentiva (Taylor docet: non sei pagato per pensare!), e non sono riusciti a sviluppare il principio del monozukuri.
Fino a qualche tempo fa esisteva e in alcune aziende continua a rimanere, un’etica del lavoro che era l’incarnazione italiana del monozukuri, dello spirito dell’artigiano; etica che è un valore e una qualità che va coltivata e protetta.
Ri-focalizziamoci sull’arte di fare le cose, sulla passione per un lavoro ben fatto, sulle competenze e sull’orgoglio di appartenere a un’organizzazione nella quale possiamo esprimere le nostre capacità, per fare prodotti di qualità e costruire un futuro di crescita e benessere per l’azienda, per noi e le nostre famiglie e per la nostra comunità.

In fin dei conti, noi siamo anche il nostro lavoro!
Think on that and, please, design a better world.

Buona settimana
Massimo

 

    Pubblichiamo un nuovo post ogni settimana, se desideri riceverlo iscriviti:

    Nome e cognome (richiesto)

    Professione

    Indirizzo email (richiesto)

    Condividi l'articolo

    Leave a Reply