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Le persone vedono solo cio’ che sono preparate a vedere.

By 6 Aprile 2015 Marzo 29th, 2018 No Comments

Le persone vedono solo ciò che sono preparate a vedere.
(R.W.Emerson)personeNulla al mondo è più pericoloso che un’ignoranza sincera e una stupidità coscienziosa.
(Martin Luther King)

Vediamo solo ciò che siamo preparati a vedere e così siamo ciechi rispetto a cambiamenti che sono al di fuori del nostro campo percettivo. E se non li vediamo c’è il rischio di trascurarli fino a quando non è tardi. E’ quello che notiamo quando guardiamo alle aziende e a come stanno costruendo le competenze delle proprie persone e a come manager e imprenditori, si prendono cura delle proprie abilità e capacità con un’ottica orientata al futuro. Tutto questo naturalmente impatta sulla capacità dell’organizzazione di sviluppare una crescita sostenibile nel tempo e di riuscire a stare con successo sul mercato e produrre ricchezza per tutti gli stakeholder.

Una premessa profondamente sbagliata e falsa, è che la formazione non serva a nulla, che l’apprendimento continuo sia un costo e una perdita di tempo. Qui mi piace citare la famosa frase del presidente dell’Università di Harvard, Derek Bok: se pensi che l’istruzione sia costosa, prova l’ignoranza.

Secondo una ricerca pubblicata da una rivista non più del 10% delle persone in un’organizzazione o impresa commerciale tipica (dato probabilmente molto ottimista), hanno l’abilità di guardare oltre alle regole e obiettivi esistenti per creare nuove direzioni. La maggior parte della struttura è incentrata sul breve termine e non riesce a costruire e a sviluppare sistemi alternativi a quelli attuali.

La pressione del tempo, vera o presunta, si avverte anche nell’ambito della formazione, con la ricerca di soluzioni e tipologie di training del tipo “usa e getta”: il training, se fatto, deve essere veloce, breve e costare poco.

Un’offerta enorme, un notevole rumore di fondo, con messaggi che apparentemente sono tutti uguali e con diversi livelli di qualità e serietà dei contenuti, con prezzi molto bassi, unita, a volte, all’incapacità di discriminare e di analizzare correttamente non solo le necessità attuali, ma soprattutto quelle future, creano un miscuglio caotico e problematico. Ne vediamo i risultati nel basso livello di motivazione delle persone in azienda, nel continuo abbassamento dei livelli professionali e nell’incapacità di agire comportamenti nuovi e pensare in modo innovativo, oltre al persistere di problemi di tipo operativo e organizzativo.

Molte organizzazioni sono focalizzate sul fare i numeri: le nostre fabbriche sono tutte all’estero, tutto ciò che produciamo qui sono ricchi dirigenti (trovata su Internet)! La battuta, molto dura ma purtroppo vera, ben rappresenta il deserto creato dalla devastante ricerca del risultato rapido e d’interi settori spazzati via e di competenze bruciate solo per un’attenzione al profitto sul breve termine che ha del patologico oltre che essere moralmente discutibile. I grandi imprenditori e le grandi aziende hanno sempre avuto e hanno prestato attenzione ai prodotti (beni e servizi), ai clienti, ai dipendenti, al mercato e alla comunità. Il profitto è il risultato finale di tutti gli sforzi compiuti dall’organizzazione, è un effetto e non una causa. Quando diventa fine a se stesso può giustificare le cose peggiori; la crisi dei sub-prime del 2008 ne è un esempio, ancora dolorosamente vivo.
In modo più efficace, invece, alcune aziende studiano, sperimentano e sviluppano una strategia, che richiede le competenze per la costruzione di una visione e una capacità superiore di analisi per la definizione di una direttrice lungo la quale muoversi.

Con un processo che in medicina si chiama sclerotizzazione (processo o procedimento – indotto o spontaneo – che consiste nella chiusura di un’arteria o di una vena fino all’ostruzione totale del condotto. Wikipedia) – che crea rigidità e lentezza; e in paleontologia si chiama fossilizzazione (insieme dei processi biologici e ambientali che modificano i resti degli esseri viventi, impedendone il disfacimento, e li trasformano nel prodotto chiamato fossile, Wikipedia), alcune organizzazioni perpetuano se stesse, fino a che il mercato glielo consente, in un tentativo di resistere al cambiare dei tempi e delle situazioni.
All’opposto e sempre più spesso, lavoriamo con aziende che vogliono davvero evolvere, per ridisegnare processi e organizzazione, poiché la struttura deve cambiare con il cambiamento del mercato, della tecnologia e dei clienti. L’organizzazione di un’azienda non è data una volta per tutta, ma deve potersi modificare in linea, o meglio ancora, in anticipo alle necessità del business. Un organigramma è una scatola vuota se non è riempito con processi che devono essere davvero moderni e persone alle quali deve essere data la possibilità di apprendere nuovi schemi operativi e nuovi modelli mentali.

“L’one-man-show” esiste ancora in molte aziende, che trovano nel fondatore il primo motore del proprio sviluppo e della propria crescita. Il problema nasce quando il motore finisce la benzina o s’imballa. In un mondo sempre più complesso, interconnesso, globalizzato e tecnologico, ad avere successo saranno quelle organizzazioni che riusciranno a creare un ambiente interno dove tanti possono dare il proprio contributo allo sviluppo d’idee, prodotti e servizi, originali e innovativi. “L’one-man-show” è spesso felice di investire grandi somme di denaro in tecnologie (hardware e software) ma sofferente e mal disposto nell’investire nelle proprie persone; ritroviamo qui un moderno epigono di Mazzarò, il contadino descritto da Giovanni Verga: “Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba alla sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva figli, né nipoti né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così vuol dire che è fatto per la roba.”

Riprendo una frase di Philip Kotler: Le aziende prestano troppa attenzione a quanto costa fare certe cose. Dovrebbero preoccuparsi di più di quanto costa non farle.

Se è così, dobbiamo non fare di più dello stesso, ma fare cose diverse, ovvero avere il coraggio di cambiare l’organizzazione se e quando serve, i processi secondo criteri moderni e tenendo conto che devono aiutare le persone e non ostacolarle e i sistemi di management oramai “sclerotizzati” e “fossilizzati”.

Dobbiamo puntare a fornire alle persone nuove conoscenza e nuove competenze. E per persone non mi riferisco solo ai collaboratori, ma prima di tutto proprio a manager e imprenditori. La qualifica di manager o d’imprenditore non è né condizione necessaria nè sufficiente per decretarne l’onnipotenza e l’onniscienza. Manager e imprenditori sono prima di tutto esseri umani (so che sto osando molto e che non sono politically correct!) e come tali sbagliano e i loro modelli mentali possono invecchiare e diventare obsoleti. Ma, caro lettore, ora che lo sai, puoi anche decidere di intraprendere delle contromisure.

E’ necessario acquisire nuove capacità di problem solving e di analisi strategica, imparare a essere creativi, a lavorare in team, apprendere nuovi mindset e a sviluppare nuove abilità relazionali per influenzare (non manipolare!) collaboratori e clienti. Dobbiamo creare organizzazioni che possano funzionare in modo moderno, in ambienti moderni che stimolino la creatività. Dovremmo creare organizzazioni che sappiano “pensare” e non solo sappiano “eseguire”, ricreando quelle capacità adattive, evolutive e creative proprie del cervello umano: connettere fatti, usare diversi canali per apprendere e pensare, network, costruzione continua di nuovi collegamenti, capacità di vedere e di visualizzare e così via.

A te che hai una grande responsabilità, se sei un manager o un imprenditore, o a te se hai una responsabilità più piccola, ma vuoi fare bene, dedico queste parole, dette forse dal faraone Akhenaton; ma se anche lui non le avesse dette, rimangono parole importanti:

La vera saggezza è meno supponente della stupidità.
L’uomo saggio dubita spesso, e cambia la sua opinione; lo stupido è ostinato, e non ha dubbi; egli conosce tutte le cose ma non la sua stessa ignoranza.

Buona saggezza e buona settimana
Massimo

 

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