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Motivare diversamente. La dignita’ del lavoro 3.

By 9 Aprile 2017 Marzo 29th, 2018 No Comments

Motivare diversamente. La dignità del lavoro 3.42210068_xlE’ ancora rilevante oggi il tema della motivazione?
La motivazione (forza che guida il comportamento) come “spinta” ad agire è ancora rilevante per le organizzazioni?
Avere dipendenti “motivati” può fare la differenza?
E come si “motivano” i collaboratori?

Nel terzo post sulla dignità del lavoro – i due procedenti sono: La dignità del lavoro. Post del 12/3/17, Riflessioni per manager e imprenditori. Post del 26/3/17 – vorrei affrontare il tema impegnativo della motivazione. 

Motivazione: fattore dinamico del comportamento animale e umano che attiva e dirige un organismo verso una meta. Le motivazioni possono essere coscienti o inconsce, semplici o complesse, transitorie o permanenti, primarie, ossia di natura fisiologica o secondarie, ossia di natura personale o sociale, a cui si aggiungono le motivazioni superiori come gli ideali o i modelli esistenziali che l’individuo assume in vista della propria autorealizzazione.
(Umberto Galimberti)

Molte ricerche mostrano un basso livello di coinvolgimento dei dipendenti nelle aziende, le evidenze empiriche supportano quanto le ricerche hanno così chiaramente quantificato.
Molti dipendenti, sebbene non soddisfatti, con un mercato del lavoro asfittico e un’economia che si trascina, accettano di lavorare in ambienti demotivanti in mancanza di serie alternative. La necessità di portare a casa comunque uno stipendio supera ogni altra aspirazione e prende il sopravvento e anche se non particolarmente soddisfatti o motivati, si aggrappano con disperazione al posto di lavoro (motivazione primaria o di natura fisiologica, la base della piramide di Maslow).
Non parliamo poi di chi il lavoro l’ha perso o non lo trova, oppure è precario.
Ne ho scritto a più riprese.

Siamo lontanissimi dai tempi, i primi anni novanta, quando, ad esempio, nella zona di Milano, era impossibile trovare un tornitore o un operaio specializzato e chi lo aveva trovato, faceva di tutto per tenerselo.
Un insieme negativo di fattori – la crisi, la tassazione soffocante cui sono sottoposte le aziende, gli alti costi del lavoro, la forbice che continua allargarsi tra i costi sostenuti dalle aziende e gli stipendi percepiti dai dipendenti, la concorrenza internazionale, il provincialismo e la mancanza di visione di alcune aziende, modelli di gestione aziendale da prima rivoluzione industriale – ha creato una situazione difficile ulteriormente esasperata dal vuoto spinto di una politica oramai totalmente incapace di trovare e proporre soluzioni nuove.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: un’economia che cresce poco, aziende sempre più in difficoltà, una forza lavoro demotivata e sfiduciata, una massa importante di giovani che cercano nuove opportunità all’estero avendo rinunciato a cercarle in un paese che, a parte stage, voucher e lavoro interinale, non sa offrire quasi più nulla a chi vuole costruirsi un futuro.

A questo scenario catastrofico fanno da controparte aziende che vanno bene, che hanno sviluppato mercati all’estero, ma che in molti casi non riescono ad affrancarsi da modelli di gestione aziendale antichi e obsoleti. Così anche in aziende sane e profittevoli c’è una forza lavoro stanca e lontana dall’impegno che sarebbe necessario in un mondo che si muove così velocemente.

Naturalmente ci sono le debite eccezioni, ma tali rimangono, aziende con sistemi di gestione innovativa che, purtroppo, sono un’esigua minoranza.
Il tutto nel silenzio di organizzazioni ed esperti che non si azzardano a sollevare il problema, persi come sono su Industry 4.0 o altre amenità “digitali/tecnologiche” o di alcuni super-manager che parlano di cose astratte buone solo per la loro immagine.
Come rispondono molte organizzazioni?
Ignorando il problema, oppure attingendo a piene mani nelle tattiche appartenenti all’archeologica industriale: la tecnica del bastone e della carota, la cassetta dei suggerimenti (quelle poche che ho visto sempre tristemente vuote), sistemi di incentivazione basati sulla performance, sistemi più o meno complicati di valutazione delle risorse umane, delocalizzazione, investimenti in tecnologia come risposta a problemi di business o di sistema e così via.

Insomma, il solito armamentario.
Tutte tecniche che si potrebbero sintetizzare così:
ATTENZIONE: ATTRAVERSAMENTO DINOSAURI!

Dopo questo incipit che ricorda, in forma scritta, l’urlo di Munch, proviamo a vedere cosa possiamo fare.

Nel nostro piccolo libro pubblicato tre anni fa (M.Torinesi, F.Grandis – Re-Think), proponevamo tre leve per il cambiamento.
La prima leva – Cambiare e costruire la cultura.
Abbandonare i paradigmi del passato e affacciarsi su un orizzonte nuovo, in grado di fronteggiare le sfide del XXI secolo, vuol dire anzitutto lavorare sulla cultura aziendale. E guardare alla “cultura” della propria impresa significa niente altro che analizzare il modo in cui si fanno le cose.
(…) Creare una nuova cultura, ovvero un nuovo modo di fare le cose, significa lavorare su persone e tempi, ma anche sugli strumenti, ovvero tutte quelle tecniche e quei metodi necessari per risolvere i problemi e generare nuove idee. (M.Torinesi, F.Grandis – opera citata)

La seconda leva- Il Training.
Fare della creatività e dell’innovazione il motore del proprio business significa investire su una serie di abilità, proprie e di tutti i collaboratori. (M.Torinesi, F.Grandis – opera citata) Significa investire sulle competenze, formare le persone a tutti i livelli, manager inclusi.
Continua a rimanermi un dubbio: ma come si formano i manager, come migliorano se stessi, come aggiornano le proprie competenze?
Evidentemente devono essere nati perfetti come Venere: Venere avanza leggera fluttuando su una conchiglia lungo la superficie del mare increspata dalle onde, in tutta la sua grazia e ineguagliabile bellezza, nuda e distante come una splendida statua antica. Viene sospinta e riscaldata dal soffio di Zefiro, il vento fecondatore, abbracciato a un personaggio femminile con cui simboleggia la fisicità dell’atto d’amore, che muove Venere col vento della passione (Wikipedia).
Già alcuni super-manager o super-imprenditori sono proprio come degli dei: perfetti, onniscienti, si nutrono di nettare e vivono sull’Olimpo… e naturalmente, come Cassandra hanno il dono della profezia e conoscono il futuro!
È conveniente che esistano gli dei, e, siccome è conveniente, lasciateci credere che esistano scriveva Ovidio.

La terza leva – Un nuovo modello di leadership.
Quello che oggi ci serve non sono altre tecniche, altre teorie ascrivibili all’interno del management attuale, ci serve un altro modello di leadership, un’autentica rivoluzione del modo di pensare e di gestire l’azienda. (M.Torinesi, F.Grandis – opera citata)
E questa è sicuramente la leva più difficile da usare, perché la difficoltà di cambiamento è fortissima soprattutto ai piani alti, contrariamente a quello che si potrebbe pensare.
Nella stanza dei bottoni, l’executive suite, abbandonare una tecnologia obsoleta come le attuali teorie di management, rischia di lasciare il “re nudo”.

Tre leve concrete, pratiche da sviluppare e da far evolvere per l’azienda che decide di diventare veramente moderna, abbandonando pratiche, schemi e modelli fossili di un’Era passata.
E cioè: modificare i processi coinvolgendo direttamente le persone che ci lavorano, fornirle di competenze utili che le facciano “sentir capaci” di agire, di cambiare le cose per migliorarle.
Creare spazi di autonomia dove le idee possano nascere, svilupparsi e dove si possa sperimentare senza il rischio di essere puniti per l’errore.
Un management aperto al cambiamento e alla sperimentazione, imprenditori attenti all’investimento nelle loro persone tanto e forse più di quanto siano attenti agli investimenti in beni strumentali (certo l’investimento nelle persone non può usufruire del “super-ammortamento”, sig!).
Una rivoluzione del pensare e dell’agire.

Mentre è impossibile motivare qualcuno, il manager può facilmente demotivare.
Manager e imprenditori dovrebbero far loro la regola che viene insegnata ai medici: “primum non nocere” – per prima cosa, non nuocere -, ciò significa che, nella scelta di una terapia, bisogna innanzitutto non arrecare danno al paziente e per questo, tra i trattamenti possibili, va sempre privilegiato quello che ha meno controindicazioni (Wikipedia).
La prima cosa da fare è non peggiorare la situazione.

  • Molte persone in azienda vivono situazioni simili all’esperienza che si prova andando sulle montagne russe. Un po’ di eccitazione (forse) ma anche paura e preoccupazione. Le decisioni che vengono prese, hanno infatti la stessa congruenza delle montagne russe: alti e bassi estremi, senza vie di mezzo.
  • (…) Un buon leader dovrebbe prima di tutto essere equilibrato e gestire le proprie persone con saggezza, con la cura che meritano, un po’ come il genitore fa con i figli o l’allenatore fa con i propri giocatori. Dovrebbe possedere una rastrelliera – virtuale e mentale – con diversi cappelli da indossare al momento giusto: quello di manager, quello di psicologo, quello di esperto, quello di genitore, e così via, in funzione dell’interlocutore e della situazione.
    Dovrebbe anche saper esercitare un controllo sul proprio stato emotivo, che non vuol dire non arrabbiarsi quando è necessario, ma non eccedere o superare dei limiti che mai andrebbero infranti. Dovrebbe guidare con l’esempio e non con l’arco e le frecce – il bastone e la carota
    .
  • (Montagne russe e aziende, emotività ed equilibrio. Post del 10/11/14)

La frustrazione, che causa demotivazione, a volte deriva da processi difettosi, che non funzionano, oppure sono lenti.
E’ sorprendente come sia più facile cercare un colpevole (personalizzazione del problema) piuttosto che modificare un processo aziendale disfunzionale.
Il sistema sconfiggerà sempre gli sforzi della persona che vuole fare, demotivandola (risuona alla mente Don Chisciotte e i mulini a vento!) e costringendola alla fine ad arrendersi.
Processi lenti o difettosi vanno cambiati coinvolgendo direttamente le persone responsabili nel processo di riprogettazione.
E’ necessario abbandonare slogan roboanti e finti programmi di miglioramento che hanno il solo risultato di rendere le persone ciniche e distaccate e che di solito si traducono in cosmesi, angoli simpatici pieni di grafici fatti al computer che nessuno guarda, e in un lungo armamentario di tecniche dai nomi esotici alla Harry Potter.

Un giorno scriverò quello che solo qualcuno – ad esempio Bob Emiliani e pochi altri – ha avuto il coraggio di dire e cioè che la Lean, Lean Six Sigma, o altri “lean+something” (vedi Lean + “something”. Post del 6/3/16), i tentativi di copiare il famoso Toyota Production System, le varie certificazioni che promettono in due giorni di trasformarti in un esperto delle tecniche lean, hanno fallito nel cambiare profondamente lo stile di management delle aziende, traducendosi in una sorta di rito per iniziati con tanto di “slang” incomprensibili, dimenticandosi le persone per strada.
E’ interessante vedere, oggi, molte società di consulenza riscoprire proprio le persone dimenticate nella fretta di “vendere” i tool.

Edward Deming, che aveva insegnato la qualità e il miglioramento dei processi ai giapponesi, aveva individuato quattordici punti per la trasformazione delle organizzazioni.
Ne cito i più rilevanti ai fini del tema in discussione:

Primo: Creare costanza di intenti verso il miglioramento del prodotto e del servizio, con l’obiettivo di diventare competitivi e per rimanere nel business e creare posti di lavoro. (Create constancy of purpose toward improvement of product and service, with the aim to become competitive and to stay in business, and to provide jobs).

Quinto: Migliorare costantemente e per sempre il sistema di produzione e servizio, per migliorare la qualità e la produttività, e quindi diminuire costantemente i costi. (Improve constantly and forever the system of production and service, to improve quality and productivity, and thus constantly decrease costs)

Sesto: Istituire la formazione sul posto di lavoro (Institute training on the job).

Settimo: Istituire la leadership. Lo scopo della supervisione dovrebbe essere quello di aiutare le persone e le macchine e le attrezzature a fare un lavoro migliore (Institute leadership. The aim of supervision should be to help people and machines and gadgets to do a better job).

Ottavo: Scacciare la paura, in modo che ognuno possa lavorare in modo efficace per l’azienda (drive out fear, so that everyone may work effectively for the company).

Nono: Abbattere le barriere tra i reparti. La gente in Ricerca e Sviluppo, progettazione, vendita, e produzione devono lavorare come una squadra, prevedere i problemi di produzione e di uso che possa incontrare il prodotto o il servizio (Break down barriers between departments. People in research, design, sales, and production must work as a team, to foresee problems of production and in use that may encountered with the product or service).

Decimo: Eliminare slogan, esortazioni e target per la forza lavoro chiedendo zero difetti e nuovi livelli di produttività. Tali esortazioni creano solo relazioni conflittuali, mentre le principali cause di bassa qualità e bassa produttività appartengono al sistema e quindi si trovano oltre il potere della forza lavoro (Eliminate slogans, exhortations, and targets for the work force asking for zero defects and new levels of productivity. Such exhortations only create adversarial relationships, as the bulk of the causes of low quality and low productivity belong to the system and thus lie beyond the power of the work force).

Tredicesimo: Istituire un rigoroso programma di formazione e di auto-miglioramento (Institute a vigorous program of education and self-improvement).

Quattordicesimo: Mettere tutti in azienda a lavorare per realizzare la trasformazione. La trasformazione è compito di tutti (Put everybody in the company to work to accomplish the transformation. The transformation is everybody’s job).

Se un’azienda vuole essere credibile nei suoi sforzi di “trasformazione” (termine più forte di “cambiamento”), deve abbattere le barriere tra funzioni e reparti e deve coinvolgere tutti: dalle vendite, alla progettazione, alla produzione, alla contabilità.
E i leader devono guidare il processo.
Se dovesse far paura si può sempre ripiegare sugli slogan e sul “lean + something”…

E da ultimo si dovrebbe intervenire sulle conoscenze e sulle competenze delle persone, fornire loro quello che serve per essere efficaci ed efficienti e avere la soddisfazione con il loro agire di poter fare, di migliorare (processi e attività) e migliorarsi (crescita personale) e di proporre ottenendo un ascolto attivo da parte del management, con la possibilità di spazi di autonomia e non sottoposte a un controllo continuo (micro-management).

L’essenza della motivazione è in questa frase di Goethe:

Quando noi trattiamo l’uomo come egli è, lo rendiamo peggiore di quanto egli sia; quando lo trattiamo come se già fosse ciò che potenzialmente potrebbe essere, lo rendiamo quello che dovrebbe essere.

Caro amico-lettore, sei ancora interessato a motivare diversamente?
Sei motivato a creare le condizioni perché essa possa crescere e svilupparsi?
Sei pronto, anzi, sei motivato a impegnarti per una vera trasformazione?

Se sei un imprenditore o un manager, allora dovrai acquisire un nuovo modo di pensare e di agire e questo richiede coraggio.
Il pensiero brillante è raro, ma il coraggio è una merce ancora più rara del genio.
(Peter Thiel).

Design a better world …

Buona settimana
Massimo

 

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