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Speed Leadership

By 28 Marzo 2016 Marzo 29th, 2018 No Comments

Speed LeadershipBlog 1216Anabasi, in greco, significa “marcia verso l’interno”, è la storia della spedizione in Persia di un esercito di mercenari greci.
Il libro narra la marcia massacrante di migliaia di chilometri in territorio ostile dei diecimila guerrieri greci nelle terre persiane e Senofonte, uno dei comandanti del corpo di spedizione greco, ne racconta la cronaca.
Dall’una e dall’altra parte, dall’esercito greco e da quello di Tissaferne, spettatori dell’impresa, si elevano forti grida di incitamento ai propri compagni. Senofonte, a cavallo, scorre a spron battuto lungo le file e incita i soldati: “Amici, qui si combatte per la Grecia, per i vostri figli e per le vostre mogli; un piccolo sacrificio, e poi avremo via libera per il resto del cammino!”. Ma Soterida di Sicione gli grida: “Senofonte, fai presto a parlare, tu che sei a cavallo, mentre io mi sfianco sotto il peso dello scudo!”. Udite queste parole, Senofonte scende da cavallo, fa uscire il soldato dalla fila, gli prende lo scudo e affretta il passo come può, per la corazza da cavaliere che gli pesa tremendamente addosso. E continua a incitare le prime file a correre, gli altri a star sotto ai primi e a non perdere terreno. Intanto i soldati non lasciano in pace Soterida, gli tirano addosso ciò che capita loro a portata di mano, lo canzonano fino a rimettergli tra le mani, a forza, il suo scudo, e a fargli riprendere il passo degli altri. Senofonte rimonta a cavallo; ma la strada lo costringe assai presto ad abbandonarlo e a salire a piedi. Finalmente pongono piede sulla cima: hanno preceduto i nemici.
(Senofonte, Anabasi, Oscar Mondadori)

A maggio avremo il piacere di ospitare Bob Emiliani per un workshop di due giorni sul tema della leadership.
La novità dell’approccio di Bob, che vede la leadership come un insieme di processi, ci ha molto interessato e incuriosito e ne è uscito questo tentativo di portare novità in un ambito caratterizzato da posizioni stanche, superate e da molte ovvietà.

Nel molto letto post In cerca del leader (del 1/11/2015, a cui vi rimando per una rilettura) scrivevo che: una delle sfide più grandi che un’organizzazione deve affrontare e vincere, se vuole continuare a esistere, è quella di sviluppare una leadership adeguata a questi tempi tribolati.
Molte aziende, non tutte per fortuna, soffrono di una mancanza strutturale di leadership che sappia sviluppare una visione e una strategia coerente con essa, e che abbia poi le necessarie competenze per portarla avanti con determinazione e coraggio, riuscendo a coinvolgere, toccando mente e cuore, le proprie persone nel processo e nelle fasi esecutive.
Sfida che appare ben lontana dall’essere vinta e in alcuni casi neppure affrontata, in un momento come l’attuale, dove una carenza di leader appare in tutta la sua drammaticità in vari ambiti: da quello politico, a quello economico, solo per citarne due.
Molte organizzazioni, purtroppo, appaiono “impantanate” in approcci superati e sembrano incapaci di lasciarsi alle spalle tradizioni, paradigmi e schemi mentali vecchi.

L’impresa privata italiana, in particolare e pur con le dovute e interessanti eccezioni, sembra incapace di superare un certo “provincialismo” diffuso che porta le aziende a guardare con attenzione solo al breve termine, a ripetere sempre le stesse cose e non riesce a trovare un modo di funzionare più adeguato ai tempi “veloci” che stiamo vivendo, rimanendo invischiata in una serie di comportamenti che ne limitano profondamente le capacità di crescere e di innovare.
Le multinazionali, con le loro iper-strutture, sono invece prigioniere di scelte che non governano e che hanno poca possibilità di influenzare essendo legate a decisioni prese in altre nazioni da persone che, a volte, non conoscono né il business né le potenzialità che la loro consociata potrebbe esprimere se sollevata da tutta una serie di procedure, autorizzazioni, vincoli organizzativi, finanziari e operativi. La forte pressione sul risultato del trimestre ne vincola, a volte e in modo drammatico, la razionalità di comportamento e la visione di medio/lungo periodo, obbligando a scelte miopi che ne compromettono poi seriamente la capacità di generare crescita nel tempo.

Le situazioni sopra indicate non sempre creano, nel breve termine, difficoltà di tipo economico o di mercato: se l’azienda è in buona salute economicamente e finanziariamente, se le linee di prodotto sono profittevoli, se l’azienda è ben gestita, se il mercato di riferimento è internazionale, prima che le criticità manifestino la loro forza distruttiva, possono anche passare anni. E’, tuttavia, possibile, osservare la comparsa di “segnali deboli” che se trascurati, condurranno a vere e proprie crisi il cui esito è quantomeno incerto, non avendo costruito le competenze e le condizioni per superarle con successo.

Osservo, un po’ allibito, il nascere di tutta una serie di nuove mitologie e leggende metropolitane che se non rischiassero di essere devastanti, potrebbero essere divertenti. Ne ho rappresentate diverse nel tempo e chi mi legge, sa a cosa mi riferisco.
Una delle ultime nate è la retorica sulla ricerca e la formazione dei “talenti”.
Su internet vi è tutto un fiorire di schemi e modelli per la ricerca, la selezione e la formazione dei talenti. Le aziende, visto il successo, si stanno trasformando in copie di “X Factor”, “Italia’s got Talent”, “American Idol” e così via.
Questo approccio ha due problemi.
Primo: è banale.
Tutti in fase di selezione cercano la persona giusta – vorrei vedere chi sosterrebbe il contrario – cioè una persona dotata delle caratteristiche allineate alle necessità presenti e future dell’azienda. Poiché non sono ancora previsti test genetici sui possibili candidati e la scienza non ha dimostrato che esiste un cromosoma “x” chiamato talento, possiamo solo cercare di fare il nostro meglio in fase di selezione, con intelligenza e sensibilità; ma per cortesia eliminiamo la parola “talento”…
Secondo: ogni organizzazione dovrebbe cercare di fare cose eccezionali con persone normali. Non mi risulta, esistano aziende composte di Einstein o Zuckerberg. Piuttosto vediamo continuamente aziende che riescono, purtroppo, a creare ambienti demotivanti e instupidiscono le loro persone.
Inoltre, anche il talento, dopo due o tre anni (esagerando) diventa “normale”!
Ci si dovrebbe, quindi preoccupare di creare ambienti stimolanti, dove le persone possano crescere, dove le competenze vengano continuamente curate e accresciute (attenzione all’obsolescenza programmata dei collaboratori, anche detta “invecchiamento precoce”) e dove la vita professionale delle persone viene allungata con reciproca soddisfazione sia delle persone che dell’azienda.
Il trend inarrestabile dell’allungamento della vita attiva lavorativa dovrà portare a rivedere completamente il modo con cui sono gestite le persone e le loro competenze.
Lasciamo, quindi per carità, i talenti o alla parabola del Vangelo o agli show televisivi!
Lo sviluppo delle persone nell’arco della loro vita lavorativa richiede e richiederà la capacità di creare condizioni di lavoro adeguate, e processi ben strutturati, che consentano di continuare ad affinare capacità e competenze, come regolarmente e sistematicamente avviene in certe aziende che l’hanno capito molto tempo fa.

Se la convinzione principale è che la formazione (quella ben fatta) è un costo e che le persone se non lavorano perdono tempo, non credo si possa pensare di andare molto lontano.
L’assenza di processi per lo sviluppo delle competenze e capacità, sommate a una cronica mancanza di leader esperti (mai formati), rischia di minare seriamente la possibilità di sopravvivenza di alcune aziende.
La formazione e costruzione di una leadership moderna è quindi una condizione vitale per il successo di medio e lungo termine di un’azienda e a quest’aspetto si dovrebbero dedicare pensieri e riflessioni serie, sviluppando una visione di quelle che saranno le competenze necessarie nel prossimo futuro.
Con Bob, cercheremo di focalizzare l’attenzione dei partecipanti al workshop sulla leadership intesa in senso nuovo, sui suoi processi e sui tanti errori dai quali possiamo imparare per diventare leader migliori, in un processo di continuo auto sviluppo.
Già da qualche tempo Peter Drucker parlava della necessità di non cercare alibi:
La maggior parte delle organizzazioni ha bisogno di qualcuno che sia in grado di esercitare la leadership, indipendentemente dalle condizioni dell’ambiente esterno. Ciò che conta è che il leader metta a disposizione le competenze di base. Al primo posto tra queste io metto la volontà, la capacità e l’autodisciplina che occorrono per ascoltare. Ascoltare non è una competenza; è una disciplina. Tutti possono riuscirci. L’unica cosa che dovete fare è tenere la bocca chiusa. La seconda competenza di base è la disponibilità a comunicare, ossia a farsi capire. Essa richiede pazienza infinita. La terza competenza in ordine d’importanza è non cercare alibi. Dite: “questo processo non funziona come dovrebbe. Riesaminiamolo.” L’ultima competenza di base è la disponibilità a rendervi conto della vostra marginalità rispetto al compito. I leader subordinano se stessi al compito.
(Un anno con Drucker – Peter Drucker con Joseph Maciariello)

Riesaminare la leadership è diventata una necessità non più procrastinabile.
La leadership conta e conterà ancora per molto tempo. Le organizzazioni di successo sono e saranno caratterizzate da una leadership “veloce” che fa la differenza.
E per essere veloci sarà necessario acquisire tutta una serie di nuovi strumenti e comportamenti. Molti processi andranno ridisegnati e reinventati (“riesaminati”, direbbe Drucker), adeguando (e magari superando) la velocità dell’azienda a quella del mondo esterno.

Innovazione e leadership s’incontrano a più livelli e in qualche modo si integrano per creare organizzazioni veloci, capaci di apprendere e di essere avanti a tutti.
E il livello più alto di innovazione è proprio la capacità di creare processi di gestione e organizzazione aziendale originale che rendano possibili i livelli di innovazione di livello più basso.
L’innovazione può essere così visualizzata a quattro livelli: a livello più basso l’innovazione operativa e di processo; al secondo livello l’innovazione di prodotto e/o servizio; al terzo livello l’innovazione nel modello di business e all’ultimo e più alto, l’innovazione a livello di sistema di management.
Tutte le aziende di successo sono (e saranno) caratterizzate non solo da prodotti e servizi vincenti o modelli di business validi, ma soprattutto da un criterio di gestione che consente, appunto, all’azienda di essere un “innovatore seriale”, cioè di risolvere problemi, di imparare e di generare continuamente idee, soluzioni, prodotti e modelli attraverso le proprie persone, in modo continuo e creativo.
Appare qui di tutta evidenza l’importanza di una leadership che abbia l’energia e la visione per immaginare un tipo nuovo di azienda e che sappia creare i presupposti (valori e processi) per realizzare un progetto così ambizioso.

Da dove iniziare a costruire un’azienda così?
Iniziamo dal non cercare alibi e cominciando a prendere e a portare lo scudo …

Buona settimana
Massimo

 

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