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Nell’oscurita’ trovare la luce.

By 17 Luglio 2016 Marzo 29th, 2018 No Comments

Nell’oscurità trovare la luce.35082195_lLa strage di Dacca, lo scontro dei treni in Puglia, morire a Nizza.

Questa settimana il post voleva avere un contenuto diverso, avrei voluto scrivere ancora qualcosa su uno dei miei argomenti preferiti, ma le tristi notizie che arrivano mi hanno fatto fermare e pensare che scrivere sulle vittime di quelle stragi forse può in qualche modo far decantare la rabbia e il dolore che tutti stiamo sentendo.

Rabbia, come quella provata per la strage di Parigi (Verrà un tempo…, post del 15 novembre 2015), o come quella che sento e tutti sentiamo, in questo momento.

Perché mettere lo scontro dei treni insieme alle stragi terroristiche?
Perché è inconcepibile che due treni si scontrino con tutti i mezzi che la tecnologia mette a disposizione.
Perché non è pensabile che responsabili, tecnici e uffici ed enti vari, non fossero a conoscenza di come funzionava il traffico in quel tratto di ferrovia.
Perché sono stati stanziati dei fondi che, se impiegati bene, avrebbero salvato delle vite. Perché chi è coinvolto e ha responsabilità in un disastro del genere, è un criminale.
Perché speriamo che, in questo povero paese, i responsabili, finalmente, paghino.
Perché continuiamo ad avere politici buffoni e irresponsabili.

Rabbia, per quegli ex-umani, che invece di usare le loro giovani vite e la loro intelligenza per migliorare il mondo, uccidono innocenti, vittime di una pazzia religiosa dalla quale speravamo di esserci liberati. Terroristi oramai simulacri, copie difettose e pericolose, di esseri umani.
Rabbia, per la colpevole imbecillità di tanti politici, nazionali e internazionali, incapaci di affrontare e risolvere i tanti problemi che ci affliggono.
Rabbia, per il mondo che stiamo costruendo, dove, ancora, accadono fatti così crudeli e folli.
Rabbia, per il silenzio colpevole, di chi almeno dovrebbe trovare il coraggio di dire che uccidere per una qualsiasi ragione, politica o religiosa o di razza, è sbagliato e che chi lo fa non appartiene più al genere umano.
Rabbia per tutti quei mercenari prezzolati, che per un pugno di dollari continuano a creare situazioni di ingiustizia e instabilità per i loro sporchi interessi.
Rabbia…

Dolore per quella comune comprensione che ci fa esseri umani e che ci fa percepire forte lo strazio dei parenti di quelle povere vite spezzate in modo così assurdo.
Dolore perché in questi tragici eventi, noi siamo le vittime, noi siamo loro, persone dilaniate da un dolore profondo e assurdo, nel quale ci immedesimiamo perché lo capiamo, perché il loro dolore è il nostro, perché i loro cari potevano essere i nostri cari.
Perché a quella festa a Nizza potevamo esserci noi, con i nostri figli, mogli e mariti.
Perché avremmo potuto prendere quel treno o un altro che magari è a rischio.

La nostra storia, pur con tutte le contraddizioni e le follie che l’hanno contraddistinta, è una storia di superamento di periodi bui dai quali siamo poi usciti più forti e migliori, di affrancamento dalla tirannia e dall’oscurantismo, di superamento dalla povertà e dalla miseria, di cammino dal buio verso la luce.
La storia ha seppellito tutti i tiranni e i pazzi che si sono succeduti, da qualunque parte venissero.
E la storia l’hanno fatta tutti i grandi leader positivi ed esempio di coraggio, visione e lungimiranza, ma anche le tante persone comuni e normali, che con atti di eroismo e abnegazione, impegno e solidarietà, hanno lavorato spesso nell’ombra per fare il loro dovere e per l’uomo, per un futuro più giusto e migliore.

Qualche anno fa, nel 1983, Karl Popper disse:
Qui nell’Occidente viviamo in un mondo che è, relativamente parlando, il migliore, il più giusto e assistenziale che ci sia mai stato nella storia: viviamo nel mondo libero, nel mondo in cui abbiamo le maggiori possibilità, in un mondo in cui possiamo parlare liberamente. Questo è un mondo che nel passato non ci fu mai.
 
(…) Ma molti intellettuali credono che oggi viviamo in un mondo miserabile. E ciò non solo lo si racconta ai giovani, ma lo si inietta nelle loro teste continuamente. Ora, è evidente che nel nostro mondo ci sia del buono e del cattivo. Sarebbe insensato dire che non si può migliorare il nostro mondo. E’ compito nostro, e compito dei giovani, continuare a migliorare il nostro mondo – ma a migliorarlo veramente e non a peggiorarlo. Se i giovani guardano al nostro mondo con la convinzione che esso sia miserabile e orribile, diventano essi stessi infelici – vivono infelici in un mondo che è meraviglioso. Ma vivono anche da ingrati in questo mondo in cui avrebbero grandi compiti, in cui ci sono grandi cose da migliorare, in cui esistono uomini sofferenti che bisogna aiutare.

(…) Si è sempre cercato di tenere insieme gli uomini con la forza o le minacce. La minaccia dell’inferno era un tentativo di questo tipo. Più attuali sono le varie forme di terrorismo.

In un articolo pubblicato sul Scientific American Mind, due professori, Stephen D.Reicher e S. Alexander Haslam, scrivono:
L’ascesa ripida e virulenta del terrorismo si colloca tra le tendenze nel mondo più inquietanti di oggi. Secondo il 2015 Global Terrorism Index, le morti legate al terrorismo sono aumentate quasi di 10 volte dall’inizio del 21 ° secolo, in aumento da 3.329 nel 2000 a 32.685 nel 2014. Nel solo periodo tra il 2013 e il 2014, sono cresciute dell’ottanta per cento.
(…) Molte persone saltano alla conclusione che solo psicopatici o sadici – individui completamente diversi da noi – potrebbero tirare la cinghia di un giubbotto per farsi esplodere o brandire la spada di un boia. Ma purtroppo questo presupposto è sbagliato. Grazie agli studi classici fatti tra il 1960 e il 1970, sappiamo che anche individui stabili, ben adattati, sono in grado di infliggere gravi danni agli esseri umani verso i quali non hanno alcun risentimento.
(…) Il lavoro pionieristico degli psicologi sociali Henry Tajfel e John Turner negli anni 80, anche se non in rapporto tra loro, suggerisce una parte della risposta. Essi hanno sostenuto che il comportamento di un gruppo e l’estrema influenza dei suoi leader dipendevano in modo critico da due fattori correlati: l’identificazione e la disidentificazione (disidentifcation). In particolare, qualcuno per seguire un gruppo – fino al punto di esercitare violenza – deve identificarsi con i suoi membri e, allo stesso tempo, deve distaccarsi dalla gente fuori del gruppo, cessando di preoccuparsene.
Considerazioni che ci portano a parole quali integrazione, accettazione delle regole, condivisione dei valori di reciproca convivenza, tolleranza e cultura.
La risposta al terrorismo non può essere, pur non rinunciando alla necessaria e indispensabile protezione e difesa, solo la guerra.

Miope politiche internazionali e guerre vendute come “giuste” – basta pensare alla pessima strategia di Bush in Iraq e alla menzogna delle “armi di distruzione di massa” con la guerra che ne è seguita e che ha destabilizzato l’intera regione – non hanno ottenuto altro risultato che creare e accentuare il problema che ricade su noi tutti, con effetti devastanti e drammatici.
Non so naturalmente quale sia la risposta, ma certo la soluzione non può essere un’escalation di violenza.

Il califfato e l’ISIS sono destinati a sparire e l’intensificarsi delle azioni di terrorismo, più che un segno di forza, è un segno di grave debolezza, cercando di spostare l’attenzione sull’esterno e nascondere l’arretramento e la sconfitta sul campo che l’Isis sta subendo.
Il dilemma è a quale prezzo, in termini di vittime innocenti, si chiuderà la feroce storia di questi pazzi fanatici. E soprattutto che non si pongano le basi per la nascita di un altro califfato da qualche altra parte.

Solo una strategia e una cooperazione internazionale, non solo militare, consentiranno di risolvere definitivamente la situazione.
Anche se, purtroppo, al momento non sembra esserci una leadership capace di concentrare e focalizzare sforzi e risorse, in una comunità internazionale che spicca per l’incapacità e mancanza dei suoi leader e in dissidio perenne su tutta una serie di interessi confliggenti.

Non vi sono scorciatoie che portino all’età dell’oro. Non vi sono scorciatoie per la vita buona, né individuali né sociali. Per costruire la vita buona dobbiamo costruire l’intelligenza, l’autocontrollo e la simpatia. Si tratta di una questione quantitativa, di una questione di graduale perfezionamento, di addestramento fin dalla prima età, di sperimentazione educativa. Soltanto l’impazienza porta alla convinzione che sia possibile un miglioramento istantaneo. Il perfezionamento graduale possibile, e i metodi mediante i quali si può ottenerlo, sono materia per la scienza a venire.
(Bertrand Russell – Il mio pensiero)
 
Bertrand Russell scriveva nel pieno della guerra fredda, in un momento di grande incertezza e preoccupazione per le sorti del mondo posto di fronte al rischio di una guerra atomica e sosteneva che per migliorare la situazione “il primo passo, quello essenziale, è trovare il modo di ridurre la paura”.

Due sono i modi per curare la paura: uno consiste nel ridurre il pericolo esterno e l’altro nel coltivare una stoica capacità di sopportazione. Il secondo può essere rinforzato, tranne nei casi in cui si rende necessaria un’azione immediata, distogliendo il pensiero dalla causa della paura. La vittoria sulla paura è di enorme importanza. La paura in sé è degradante; facilmente si trasforma in ossessione; suscita l’odio verso ciò che si teme e porta avventatamente a eccessi di crudeltà. Niente, più della sicurezza, esercita un effetto più benefico sugli esseri umani.
Bertrand Russell – Il mio pensiero)

Ottimismo a tutti i costi? No, fiducia nelle capacità dell’uomo.
Se ci aspettano tempi calamitosi, dobbiamo, finchè durano, ricordare la lenta avanzata dell’uomo, rallentata in passato da devastazioni e regressioni, ma che sempre riprende il movimento verso il progresso.
Spinoza, che fu uno degli uomini più saggi e che visse sempre in conformità alla propria saggezza, ammoniva gli uomini a considerare gli eventi che passano “sotto l’aspetto dell’eternità”. Coloro che impareranno a farlo troveranno che un presente doloroso è molto più sopportabile di quanto lo sarebbe altrimenti. Questi lo potranno vedere come un momento che passa, come una discordia che va risolta, come una galleria che va attraversata. Il bambinetto che si è fatto male piange come se il mondo non contenesse altro che dolore, perché la sua mente è limitata al presente. Un uomo, che abbia imparato la sapienza da Spinoza, può vedere persino che l’intera durata di una vita di sofferenze come un momento che passa nella vita dell’umanità. E la stessa razza umana, dai suoi oscuri inizi sino al suo termine sconosciuto, non è che un minuscolo episodio nella vita dell’universo.
(Bertrand Russell – Il mio pensiero)

Pensieri e parole che ci danno la forza di andare avanti anche nei momenti più bui.

Parole e pensieri che però che non possono lenire il dolore di chi è stato così brutalmente colpito nei suoi affetti più cari.
Davanti a quel dolore, la razionalità si deve fermare e lasciare spazio all’umano sentire con il cuore e all’abbraccio di chi è unito dall’immensità della tragedia, della perdita e nella disperazione di chi rimane.
Dolore che lascia senza fiato.
Che ci annichilisce perché, come esseri umani, capiamo quanto sia straziante.

C’è un limite al dolore
in quel limite un caro conforto
un’improvvisa rinunzia al dolore.
 
Il pianista cerca un fiore nel buio
e lo trova, un fiore che non si vede
e ne canta la certezza.
 
Il gioco è questo: cercare nel buio
qualcosa che non c’è, e trovarlo.
Ennio Flaiano

Un fiore che quelle persone hanno lasciato nei nostri cuori, un ricordo, piccola luce, in una notte buia.

Siamo vicini al vostro dolore.

Massimo

 

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