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Correre felici verso il precipizio: verita’ imbarazzanti – 1.

By 23 Ottobre 2016 Marzo 29th, 2018 One Comment

Correre felici verso il precipizio: verità imbarazzanti – 1.blog-3716Noi corriamo spensierati verso il precipizio dopo esserci messi dinanzi agli occhi qualcosa che ci impedisca di vederlo.

Blaise Pascal

Avrei potuto intitolare il post di questa settimana “l’avevo detto” o “l’avevo scritto”, come mi capita quando, ogni tanto, ho delle piccole intuizioni che precedono i tempi.
E’ anche vero che, probabilmente, c’è un tempo per ogni cosa e a volte essere troppo in anticipo non funziona.
Il lato positivo della cosa è che non essendo più, l’idea, unica e isolata, acquista così maggior forza; non la rende più vera, ma sicuramente ne aumenta la visibilità.

E’ apparso su Harvard Business Review di ottobre, un articolo scritto da Michael Beer professore Emerito di Business Administration alla Harvard Business School e da Magnus Finnstrom e Derek Schrader consiglieri di amministrazione di TruePoint, dal titolo: Perché la formazione alla leadership non funziona – e cosa fare al riguardo.

Ne riporto un ampio stralcio per qualche riflessione e commento.

Considerate la divisione prodotti microelettronici (MPED) di un’azienda che chiameremo SMA, studiata da uno di noi. SMA ha investito in un programma di formazione per migliorare la leadership e accrescere l’efficacia organizzativa. MPED è stata una delle prime business unit a implementarlo e ha coinvolto praticamente tutti i suoi dipendenti.
I partecipanti hanno definito il programma estremamente valido. Per un’intera settimana si sono impegnati in attività che richiedevano il lavoro di squadra e hanno ricevuto un feedback in tempo reale sia sul comportamento individuale sia sul comportamento di gruppo. Il corso si è concluso con un piano per l’applicazione dei concetti appresi nella realtà organizzativa. Le indagini effettuate prima e dopo la formazione indicavano che gli atteggiamenti dei partecipanti si erano effettivamente modificati.

Un paio d’anni dopo, quando ha assunto la guida della divisione, il nuovo direttore generale ha chiesto una valutazione di quel costoso programma. Si è scoperto così che secondo i manager era cambiato ben poco per effetto della formazione, anche se all’epoca quelle idee apparivano stimolanti. Ritenevano impossibile applicare ciò che avevano appreso sul teamwork e sulla collaborazione, per tutta una serie di vincoli manageriali e organizzativi: mancanza di chiarezza strategica, stile autoritario dell’ex direttore generale, ambiente altamente politicizzato e conflitto interfunzionale. “(L’ex direttore generale) aveva un impatto rilevante sulla nostra organizzazione, dato che tutti noi tendevamo a replicare il suo stile manageriale”, ha spiegato un membro del gruppo dirigente della divisione nel corso di un’intervista. “Siamo tutti più autoritari di prima”.
Come strategia di cambiamento, evidentemente la formazione non aveva funzionato. Non funziona quasi mai, come abbiamo scoperto nelle nostre ricerche, nei nostri corsi e nella consulenza che abbiamo fatto a decine di aziende.
(…) I partecipanti ai corsi di formazione manageriale ci dicono spesso che il contesto in cui lavorano impedisce loro di mettere in pratica ciò che gli viene insegnato.

La descrizione fatta dagli autori dell’articolo ben rappresenta la situazione di molte aziende. Identificano alcune ragioni per l’inefficacia della formazione e nel tentativo di rappresentare un quadro più completo, cercherò di integrare le cause identificate dagli autori con altre che mi sembrano altrettanto rilevanti.

Gli autori proseguono scrivendo:
Eppure, i dirigenti più alti in grado e i loro team di gestione delle risorse umane continuano a investire in formazione, anno dopo anno, nel tentativo di promuovere il cambiamento organizzativo. Ma ciò di cui hanno bisogno in realtà è un nuovo approccio mentale all’apprendimento e sviluppo. Il contesto crea le condizioni per il successo o per l’insuccesso, perciò bisogna prima preoccuparsi della progettazione organizzativa e dei processi manageriali e poi supportarli con strumenti di sviluppo individuale come il coaching e la formazione d’aula o via Internet.
Cari amici lettori vi suona familiare?
In decine di post, da anni, scrivo esattamente proprio di questo, sig…!

Ma c’è anche altro…
Dalle conversazioni che teniamo con i manager sull’efficacia delle loro organizzazioni, emergono sei barriere tipiche. Le aziende sono costantemente alle prese con (1) una mancanza di chiarezza sulla strategia e sui valori, che determina spesso priorità contrastanti; (2) alti dirigenti che non lavorano in team e non si impegnano a perseguire una nuova direzione strategica o ad apportare i cambiamenti necessari al proprio comportamento; (3) uno stile autoritario o lassista da parte del leader, che impedisce un confronto sincero sui problemi; (4) uno scarso coordinamento tra divisioni, funzioni o regioni, dovuto a una progettazione organizzativa inadeguata; (5) una scarsa attenzione del top management alla gestione dei talenti (e ti pareva che non si dovessero menzionare i talenti?); (6) la paura dei dipendenti, che non osano denunciare al gruppo dirigente gli ostacoli che minano l’efficacia dell’organizzazione.
Per questa paura, noi definiamo le sei barriere “killer silenziosi”. Si presentano quasi sempre insieme e bloccano i cambiamenti sistemici necessari per rendere efficaci i programmi di formazione e addestramento.
Ho visto molte volte la terrificante efficacia dei “killer silenziosi” nel distruggere l’inizio di un cambiamento promettente, nel disinteresse e apatia di chi invece sarebbe tenuto a intervenire per proteggere chi voleva davvero cambiare le cose.

Alla sintesi eccellente sopra riportata possiamo aggiungere qualche altro elemento e spingere così la riflessione ancora più avanti.

Alcune aziende eliminano il rischio dei “killer silenziosi” non facendo formazione o facendola solo sporadicamente e non in modo strutturato.
Fedeli alla convinzione che la “formazione è un costo” e che il “dipendente non deve perdere tempo”, eliminano il problema, ignorandolo.
Assistiamo così a un continuo abbassamento dei livelli di professionalità, all’incapacità di affrontare situazioni (comunicazione, relazione, lavoro in team, risoluzione dei problemi e non loro “tamponamento”, etc.) che, un mondo in moto alla velocità di Internet, crea continuamente, non fornendo alle loro persone le necessarie competenze.

Molte organizzazioni creano cosi l’obsolescenza programmata dei propri collaboratori:
Il fatto è che l’obsolescenza programmata non è utilizzata solo per limitare la durata di un prodotto, ma anche per limitare l’efficacia / efficienza dei propri collaboratori.
Ovvero, non avendo strategie di mantenimento e crescita delle competenze dei propri collaboratori, di fatto ne limitano le capacità e conseguentemente la crescita sia umana che professionale.
Mai come oggi, infatti, le competenze invecchiano velocemente e molte aziende non avendo pensato allo sviluppo delle loro persone si ritrovano così, velocemente, con collaboratori non più adeguati, poi di fatto relegati a mansioni che richiedono skill di livello più basso, oppure sostituiti da nuovi assunti, le cui competenze, almeno per breve tempo, sono superiori a quelle dei dipendenti da anni in azienda. Infatti, poiché non c’è un piano di crescita, mantenimento e sviluppo delle competenze, anche i nuovi assunti diventeranno presto, superati. (Il catalogo dell’anno scorso. Programmati per invecchiare o per crescere? – post del 17/1/16)

Vi è, in alcuni casi, un’attenzione verso la formazione tecnica, la sola rispetto alla quale molte organizzazioni sono sensibili e non a quella “soft” o alle cosiddette “meta-competenze”, creando così persone con un background tecnico molto specifico ma, ignare di altre skill necessarie per competere in un mondo sempre più complesso.
Competenze di cui ho scritto nel post del 3 luglio 2016, Nessun problema può essere risolto congelandolo, nel quale menzionavo le dieci competenze vitali per competere con successo nel futuro: problem solving complesso, pensiero critico, creatività, gestione delle persone, coordinamento con altri, intelligenza emotiva, capacità di giudizio e di prendere decisioni, orientamento al servizio, flessibilità cognitiva.

Inoltre molta formazione è vecchia nei contenuti e scialba nell’efficacia. Rivolta al passato e non alle nuove competenze che serviranno nei prossimi anni.
I nuovi fautori della formazione come “commodity”, avidi del business che ruota intorno alla formazione finanziata, offrono corsi sempre più scontati dal dubbio valore e che hanno solo il pregio di essere ben pubblicizzati e di costare poco.
Così, un buon attestato a basso prezzo, non si nega a nessuno.
Sarcasmo? No, brutale verità. Ne sono la prova: l’abbassamento generale dei livelli professionali di cui parlavo più sopra, la preoccupante demotivazione che si respira in certi ambienti e l’aggancio alle solite vecchie ricette di sempre.

C’è anche un altro elemento …

I Numeri Uno come si “formano” e come aggiornano le proprie competenze?
E’ raro che un Amministratore Delegato, un Direttore Generale, un Top Manager, dedichi del tempo all’apprendimento e al miglioramento delle proprie competenze. Quasi che l’altezza nella posizione lo ponga vicino al Supremo e che all’Onnipotenza della posizione si affianchi l’Onniscienza…
Non è da sorprendersi, quindi, se qualche collaboratore, che entrando in contatto con qualche nuovo modello di pensiero, più moderno, fatichi poi non poco a portarlo in azienda dove si scontra con una mentalità vecchia che parte proprio dal Numero Uno.
La resistenza al cambiamento si manifesta nel modo più forte proprio al vertice dell’organizzazione e così tutto finisce e … “business as usual”.

Infine, una progettazione organizzativa e processi manageriali, difettosi, bloccanti e obsoleti, rendono impossibile di fatto l’introduzione di modelli gestionali e di pensiero innovativi.
“Si fa così da anni” è la confessione che il sistema non funziona (E. Deming).
Altro che Industry 4.0 !
Il tentativo di spostamento è chiaro, investire sulla tecnologia ma senza mettere in discussione i sacri dogmi o cambiare sistemi e processi inadeguati.

Il design si occupa di come funzionano le cose, di come si comandano e di come le persone interagiscono con la tecnologia.
Quando lo fa bene, i risultati sono prodotti brillanti e gradevoli.
Quando lo fa male, i prodotti sono inutilizzabili, causa di grande irritazione e frustrazione, oppure si possono usare solo a prezzo di comportarci come vogliono loro e non come vorremmo noi (Donald Norman).
L’organizzazione e i processi manageriali sono prodotti e costruzioni umane; sono un insieme di procedure, di sistemi, d’interazioni e di processi che possono funzionare bene oppure male. E se non sono più adeguati, oppure funzionano male, vanno cambiati!

Non deve destare quindi sorpresa, se qualche persona, mandata occasionalmente a un corso qualche anno prima, non riesca poi a produrre i cambiamenti attesi. La storia era già scritta.

In fin dei conti è sempre meglio ripiegare sul solito corso di Excel o quello di Inglese, oppure su un catalogo formativo pronto all’uso con le solite cose trite e ritrite, così non si corre il rischio di sbagliare.

Verità imbarazzanti di cui è meglio non parlare …
Verità imbarazzanti che è meglio non affrontare, correndo felici verso il precipizio…
Oppure no?
Forse si può fare di meglio…

Buona settimana
Massimo

 

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