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Una voce fuori dal coro. Dignita’ del lavoro 4.

By 28 Maggio 2017 Marzo 29th, 2018 No Comments

Una voce fuori dal coro. Dignità del lavoro 4.52658669_lDignità: Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso.

I grandi uomini, fini pensatori, riescono con poche parole a mettere in discussione certezze e a tracciare nuove direzioni.
Ho già citato estesamente uno di questi grandi uomini, Papa Francesco, qualche mese fa (Ecologia umana, post del 27 febbraio 2017) e pur non essendo “religioso” ma certamente attento a chi si occupa dell’uomo, è con piacere che riprendo una parte del suo discorso tenuto nel corso della visita allo stabilimento dell’Ilva il 27 maggio scorso.
Il testo integrale del discorso può essere letto nel Bollettino Sala Stampa della Santa Sede e merita certamente qualche minuto di attenzione, ne riporto qualche ampio stralcio.

(…) Oggi il lavoro è a rischio. E’ un mondo dove il lavoro non si considera con la dignità che ha e che dà.
(…) Il mondo del lavoro è una priorità umana.

L’Imprenditore e il lavoratore
Papa Francesco, rispondendo a una domanda di un imprenditore traccia il profilo delle virtù di chi guida un’impresa:

E’ molto bella questa domanda che proviene da un imprenditore, da un ingegnere; dal suo modo di parlare dell’azienda emergono le tipiche virtù dell’imprenditore. E siccome questa domanda la fa un imprenditore, parleremo di loro. La creatività, l’amore per la propria impresa, la passione e l’orgoglio per l’opera delle mani e dell’intelligenza sua e dei lavoratori. L’imprenditore è una figura fondamentale di ogni buona economia: non c’è buona economia senza buon imprenditore. Non c’è buona economia senza buoni imprenditori, senza la vostra capacità di creare, creare lavoro, creare prodotti.
(…) E’ importante riconoscere le virtù dei lavoratori e delle lavoratrici. Il loro bisogno – dei lavoratori e delle lavoratrici – è il bisogno di fare il lavoro bene perché il lavoro va fatto bene. A volte si pensa che un lavoratore lavori bene solo perché è pagato: questa è una grave disistima dei lavoratori e del lavoro, perché nega la dignità del lavoro, che inizia proprio nel lavorare bene per dignità, per onore. Il vero imprenditore – io cercherò di fare il profilo del buon imprenditore – il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore. Condivide le fatiche dei lavoratori e condivide le gioie del lavoro, di risolvere insieme problemi, di creare qualcosa insieme. Se e quando deve licenziare qualcuno è sempre una scelta dolorosa e non lo farebbe, se potesse. Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente – no, chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore, è un commerciante, oggi vende la sua gente, domani vende la propria dignità –, ci soffre sempre, e qualche volta da questa sofferenza nascono nuove idee per evitare il licenziamento. Questo è il buon imprenditore.

L’economia spietata.
Interessantissimo la differenza tracciata tra l’imprenditore e lo speculatore:

Una malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori. L’imprenditore non va assolutamente confuso con lo speculatore: sono due tipi diversi. L’imprenditore non deve confondersi con lo speculatore: lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel Vangelo chiama “mercenario”, per contrapporlo al Buon Pastore. Lo speculatore non ama la sua azienda, non ama i lavoratori, ma vede azienda e lavoratori solo come mezzi per fare profitto. Usa, usa azienda e lavoratori per fare profitto.
Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli crea alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, “mangia” persone e mezzi per i suoi obiettivi di profitto. Quando l’economia è abitata invece da buoni imprenditori, le imprese sono amiche della gente e anche dei poveri. Quando passa nelle mani degli speculatori, tutto si rovina. Con lo speculatore, l’economia perde volto e perde i volti. E’ un’economia senza volti. Un’economia astratta. Dietro le decisioni dello speculatore non ci sono persone e quindi non si vedono le persone da licenziare e da tagliare. Quando l’economia perde contatto con i volti delle persone concrete, essa stessa diventa un’economia senza volto e quindi un’economia spietata. Bisogna temere gli speculatori, non gli imprenditori; no, non temere gli imprenditori perché ce ne sono tanti bravi! No. Temere gli speculatori.
(…) Ma gli imprenditori onesti e virtuosi vanno avanti, alla fine, nonostante tutto. Mi piace citare a questo proposito una bella frase di Luigi Einaudi, economista e presidente della Repubblica Italiana. Scriveva:
“Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. E’ la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con gli altri impegni”.

Il ricatto sociale
Mi viene in mente di rispondere, all’inizio, con un gioco di parole… Tu hai finito con la parola “riscatto sociale”, e mi viene il “ricatto sociale”. Quello che dico adesso è una cosa reale, che è accaduta in Italia circa un anno fa.
C’era una coda di gente disoccupata per trovare un lavoro, un lavoro interessante, di ufficio. La ragazza che me lo ha raccontato – una ragazza istruita, parlava alcune lingue, che era importante per quel posto – e le hanno detto:
“Sì, può andare…; saranno 10-11 ore al giorno…”
“Sì, sì!” – ha detto lei subito, perché aveva bisogno di lavoro
“E si incomincia con – credo che abbiano detto, non voglio sbagliare, ma non di più – 800 euro al mese”.
E lei ha detto:
“Ma… 800 soltanto? 11 ore?”.
E il signore – lo speculatore, non era imprenditore, l’impiegato dello speculatore – le ha detto: “Signorina, guardi dietro di Lei la coda: se non le piace, se ne vada”.
Questo non è riscatto ma ricatto!

La dignità del lavoro
(…) La mancanza di lavoro è molto più del venire meno di una sorgente di reddito per poter vivere. Il lavoro è anche questo, ma è molto, molto di più. Lavorando noi diventiamo più persona, la nostra umanità fiorisce, i giovani diventano adulti soltanto lavorando. La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre visto il lavoro umano come partecipazione alla creazione che continua ogni giorno, anche grazie alle mani, alla mente e al cuore dei lavoratori. Sulla terra ci sono poche gioie più grandi di quelle che sperimentano lavorando, come ci sono pochi dolori più grandi dei dolori del lavoro, quando il lavoro sfrutta, schiaccia, umilia, uccide. Il lavoro può fare molto male perché può fare molto bene. Il lavoro è amico dell’uomo e l’uomo è amico del lavoro, e per questo non è facile riconoscerlo come nemico, perché si presenta come una persona di casa, anche quando ci colpisce e ci ferisce. Gli uomini e le donne si nutrono del lavoro: con il lavoro sono “unti di dignità”. Per questa ragione, attorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale. Questo è il nocciolo del problema. Perché quando non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il patto sociale.
E’ anche questo il senso dell’articolo 1 della Costituzione italiana, che è molto bello:
“L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
In base a questo possiamo dire che togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato o come sia, è anticostituzionale. Se non fosse fondata sul lavoro, la Repubblica italiana non sarebbe una democrazia, perché il posto di lavoro lo occupano e lo hanno sempre occupato privilegi, caste, rendite. Bisogna allora guardare senza paura, ma con responsabilità, alle trasformazioni tecnologiche dell’economia e della vita e non rassegnarsi all’ideologia che sta prendendo piede ovunque, che immagina un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale. Dev’essere chiaro che l’obiettivo vero da raggiungere non è il “reddito per tutti”, ma il “lavoro per tutti”! Perché senza lavoro, senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti.
Il lavoro di oggi e di domani sarà diverso, forse molto diverso – pensiamo alla rivoluzione industriale, c’è stato un cambio; anche qui ci sarà una rivoluzione – sarà diverso dal lavoro di ieri, ma dovrà essere lavoro, non pensione, non pensionati: lavoro. Si va in pensione all’età giusta, è un atto di giustizia; ma è contro la dignità delle persone mandarle in pensione a 35 o 40 anni, dare un assegno dello Stato, e arrangiati. “Ma, ho per mangiare?”. Sì. “Ho per mandare avanti la mia famiglia, con questo assegno?” Sì. “Ho dignità?” No! Perché? Perché non ho lavoro. Il lavoro di oggi sarà diverso. Senza lavoro, si può sopravvivere; ma per vivere, occorre il lavoro. La scelta è fra il sopravvivere e il vivere. E ci vuole il lavoro per tutti. Per i giovani… Voi sapete la percentuale di giovani dai 25 anni in giù, disoccupati, che ci sono in Italia? Io non lo dirò: cercate le statistiche. E questo è un’ipoteca sul futuro. Perché questi giovani crescono senza dignità, perché non sono “unti” dal lavoro che è quello che dà la dignità. Ma il nocciolo della domanda è questo: un assegno statale, mensile che ti faccia portare avanti una famiglia non risolve il problema. Il problema va risolto con il lavoro per tutti.

Le parole di Papa Francesco non hanno bisogni di commenti, ma solo di lunghe e profonde riflessioni e di un cambiamento di prospettiva con l’obiettivo di cambiare le cose.

Dignità e rispetto, il rispetto per le persone, sono due valori che non possono essere separati e vanno tenuti vicini, due fari che dovrebbero illuminare il percorso di chi vuole fare azienda con una visione imprenditoriale nuova e originale.
C’è una frattura tra un mondo finto e che vive di logiche tutte sue distruggendo persone, economie, aziende e una realtà con un potenziale tutto da scoprire.

Il Dalai Lama nel suo bel libro La via del comando, riflettendo sulla leadership, scriveva:
(…) La giusta visione ti permetterà di esaminare le tue intenzioni e di assicurarti di avere preso in considerazione le conseguenze delle tue azioni su di te, sulla tua organizzazione e su chi ti circonda, e di stare facendo del tuo meglio per evitare danni agli altri, aumentando invece il loro benessere.
(…) Quando assurgi al ruolo di leader, la tua influenza e la tua capacità di gestire le situazioni si espandono. A un tale aumento di potere corrisponde un aumento della responsabilità nel saper prendere le decisioni giuste.
(…) Il capitale è un mezzo, non un fine. Il fine è la libertà e la prosperità per tutti e il modo migliore per ottenerli consiste in un sistema di libero mercato nel quale tutti i protagonisti agiscano in modo responsabile.

Alcuni fini e obiettivi sono meritevoli, altri sono spregevoli, l’importante è capire la differenza.
Questa volta il post è venuto così …

Quindi … buona riflessione e design a better world …

Buona settimana
Massimo

 

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