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Uncomfortable truths (verita’ scomode).

By 28 Ottobre 2018 Luglio 8th, 2019 No Comments

Non sono particolarmente interessato a scrivere sulla “lean” e contribuire così ad alimentare il continuo bla-bla – “turnaround”, “strategy”, “kata”, “six sigma”, sono solo alcune delle parole pubblicitarie di ultima generazione (sig!) – che confonde, offusca e annacqua principi, idee e strumenti senza soluzione di continuità.

Tra tante centinaia di post, ne ho scritti (escluso questo) quattro sul tema:
Lean, Toyota e la ricerca del sacro Graal (7 luglio 2014);
Tempietti e vecchi merletti (12 aprile 2015);
Lean + ”something” (6 marzo 2015);
Teologia della Lean e nuovi guru (17 aprile 2017).
In quelle note ho cercato di riportare le mie riflessioni sull’argomento, frutto di 16 anni di lavoro sul campo.

Mode, ricette e trovate dell’ultimo minuto sono diventate più che uno strumento di conoscenza e di apprendimento un modo per proporre questo e quell’approccio, questa o quell’altra società di consulenza.
Nulla di male in tutto ciò, essendo pratica corrente nel business pubblicare libri a getto continuo il cui valore appare, a volte, discutibile e relativo. Contenuti di valore ce ne sono, ma come il classico ago nel pagliaio, molto difficili da trovare.
All’enorme proliferare di approcci, modelli, schemi e soluzioni cosiddette innovative, fa da contraltare la situazione sempre più obsoleta e tristemente declinante della pratica come si vede in molte organizzazioni.

L’uso oramai pervasivo di alcune parole ‘buone per tutte le stagioni’ quali “lean” (in tutte le sue molteplici derivazioni), “strategia”, “talenti”, “performance”, “coaching”, “agile” e, ultima arrivata, “learning agility”, se da un lato potrebbe far pensare a una apparente capillare diffusione di idee originali, si scontra con una realtà che vede, purtroppo, motivazione, competenze e impegno delle persone in costante declino, per non parlare poi di certe scelte strategiche aziendali ancorate a tradizioni secolari (classiche) oramai sorpassate.
Insomma, qualcosa si è rotto o disallineato e non si riesce a trovare le quadra.
Ne ho parlato diffusamente in uno dei nostri video: Closing the gap.

Un libro racconta una storia diversa, con un’analisi attenta e approfondita oltre che condivisibile, che forse non troverà l’eco e la diffusione che dovrebbe meritare anche e soprattutto da parte di una “community” come quella della lean, diventata in molti casi una chiesa con i suoi sacerdoti, dogmi e rituali, che preferisce oramai alcuni filoni (si veda più sopra) al momento molto di moda invece di interrogarsi con profondità sul perché, dopo trent’anni di diffusione della lean, siano così poche le aziende di successo.
In molti casi dove la “lean” ha prodotto risultati, è rimasta confinata alle operations, con poche applicazioni nello sviluppo prodotto, quasi nessuna nell’ambito delle vendite e del marketing, per non parlare poi di una sua applicazione come modello di management.

Il libro, che risponde a molte domande e chiarisce molte delle questioni esposte più sopra, è l’originale lavoro di Bob Emiliani: The triumph of CLASSICAL MANAGEMENT over LEAN MANAGEMENT.

Bob Emiliani fornisce un’esauriente spiegazione del perché molti imprenditori e manager rifiutano l’approccio lean (qui intesa nel suo significato di real lean: miglioramento continuo e rispetto delle persone, che noi chiamiamo kaizen e che si contrappone alla fake lean, cioè all’uso degli strumenti con nessun interesse per le persone, tipico di molti approcci fallimentari al miglioramento).

L’analisi di Bob Emiliani è illuminante in quanto non solo spiega il rifiuto della lean da parte del management, ma chiarisce un fenomeno più generale: le cause della resistenza da parte di certi imprenditori e manager nel lasciarsi alle spalle principi e metodi di gestione, mindset, e modelli obsoleti, risalenti al secolo scorso.
 
Tuttora, in misura molto maggiore di quanto pensiamo, manager e imprenditori sono ricevitori di saggezza stabilita che prontamente accettano e trasmettono agli altri. Nel corso del tempo, vi è una concatenazione di trasmettitori e ricevitori, più o meno acritici nei vari passaggi, incapaci di emanciparsi dai preconcetti che inibiscono l’evoluzione necessaria nella pratica del pensiero imprenditoriale e manageriale.
(Bob Emiliani, The triumph of CLASSICAL MANAGEMENT over LEAN MANAGEMENT)

Convinto che l’analisi di Bob Emiliani possa spiegare tutta una serie di altri fenomeni, gli ho suggerito, sorridendo ma con un fondo di serietà, che avrebbe potuto cambiare il titolo del libro in: The triumph of Classical Management over HUMANITY.

Molte delle idee esposte nel libro, spiegano le ragioni del gap, che ho identificato e portato all’attenzione di imprenditori e manager in più occasioni, esistente tra la velocità di cambiamento del business (tecnologia e mercati) che è esponenziale e una certa modalità di gestione delle aziende che non evolve da decenni, perpetuando schemi, modelli e mindset, appunto, superati (vedi video: Closing the gap). L’attaccamento alla tradizione e a certe idee del pensiero economico e manageriale classico impedisce a molte di organizzazioni di evolvere.

Il libro di Bob Emiliani merita il tempo speso per la lettura e sarebbe auspicabile producesse riflessioni profonde nel lettore.
Chi vuole capire le cause di molte difficoltà nel portare cambiamenti nelle organizzazioni troverà la lettura chiarificatrice.
Non è un libro “comodo” poiché tocca tutta una serie di difficoltà, errori e idiosincrasie che riguardano proprio i numeri uno delle aziende e che, molto probabilmente e proprio per questo, non lo leggeranno…

Tra le parole abusate di questi tempi c’è ne una che appare regolarmente: CHANGE – CAMBIAMENTO.
Si può effettuare un cambiamento spostando qualche elemento ma senza incidere in profondità, così appaiono molti tentativi lean, che appagano gli specialisti (lean manager, kaizen promotion officer, ecc) e soddisfano il management che ha dato un tocco di apparente novità, ma che in realtà agiscono sulla superficie, sono nuovi ma non radicali. E così sono molti dei programmi portati avanti in certe organizzazioni: curati nella cosmetica, ma superficiali nell’applicazione, nuovi (forse) ma non radicali…
Quello che invece abbiamo bisogno è una TRASFORMAZIONE, una modifica sostanziale del modo di fare impresa, dei modelli di gestione, di nuovi schemi di coinvolgimento delle persone, di evoluzione di processi e modi di pensare.

Trasformare i modelli di management, i mindset, le modalità di collaborazione all’interno dell’azienda, non sono evoluzioni che tutte le organizzazioni e primi tra tutti, molti imprenditori e manager vorranno fare o avranno il coraggio di fare, il libro di Bob Emiliani spiega quanto radicato sia un certo modello (classical management), ma fortunatamente, come qualcuno ha scritto, l’evoluzione non chiede permesso e quindi certe trasformazioni avverranno.
Il punto non è ‘se’  ma ‘quando’… pensiamoci!

E’ il caos che ha ucciso i dinosauri  (dal film Schegge di paura).
 
 Design a better world!
Buona settimana
Massimo

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